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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita IX, 9
 
originale
 
[9] Tum Postumius "interea dedite" inquit "profanos nos, quos salua religione potestis; dedetis deinde et istos sacrosanctos cum primum magistratu abierint, sed, se me audiatis, priusquam dedantur, hic in comitio uirgis caesos, hanc iam ut intercalatae poenae usuram habeant. Nam quod deditione nostra negant exsolui religione populum, id istos magis ne dedantur quam quia ita se res habeat dicere, quis adeo iuris fetialium expers est qui ignoret? neque ego infitias eo, patres conscripti, tam sponsiones quam foedera sancta esse apud eos homines apud quos iuxta diuinas religiones fides humana colitur; sed iniussu populi nego quicquam sanciri posse quod populum teneat. An, si eadem superbia, qua sponsionem istam expresserunt nobis Samnites, coegissent nos uerba legitima dedentium urbes nuncupare, deditum populum Romanum uos tribuni diceretis et hanc urbem, templa, delubra, fines, aquas Samnitium esse? omitto deditionem, quoniam de sponsione agitur; quid tandem, si spopondissemus urbem hanc relicturum populum Romanum? si incensurum? si magistratus, si senatum, si leges non habiturum? si sub regibus futurum? di meliora, inquis. Atqui non indignitas rerum sponsionis uinculum leuat; si quid est in quo obligari populus possit, in omnia potest. Et ne illud quidem, quod quosdam forsitan moueat, refert, consul an dictator an praetor spoponderit. Et hoc ipsi etiam Samnites iudicauerunt, quibus non fuit satis consules spondere, sed legatos, quaestores, tribunos militum spondere coegerunt. Nec a me nunc quisquam quaesiuerit quid ita spoponderim, cum id nec consulis ius esset nec illis spondere pacem quae mei non erat arbitrii, nec pro uobis qui nihil mandaueratis possem. Nihil ad Caudium, patres conscripti, humanis consiliis gestum est; di immortales et uestris et hostium imperatoribus mentem ademerunt. Nec nos in bello satis cauimus et illi male partam uictoriam male perdiderunt, dum uix locis quibus uicerant credunt, dum quacumque condicione arma uiris in arma natis auferre festinant. An, si sana mens fuisset, difficile illis fuit, dum senes ab domo ad consultandum accersunt, mittere Romam legatos? cum senatu, cum populo de pace ac foedere agere? tridui iter expeditis erat; interea in indutiis res fuisset, donec ab Roma legati aut uictoriam illis certam aut pacem adferrent. Ea demum sponsio esset quam populi iussu spopondissemus. Sed neque uos tulissetis nec nos spopondissemus; nec fas fuit alium rerum exitum esse quam ut illi uelut somnio laetiore quam quod mentes eorum capere possent nequiquam eluderentur, et nostrum exercitum eadem quae impedierat fortuna expediret, uanam uictoriam uanior inritam faceret pax, sponsio interponeretur quae neminem praeter sponsorem obligaret. Quid enim uobiscum, patres conscripti, quid cum populo Romano actum est? quis uos appellare potest, quis se a uobis dicere deceptum? hostis an ciuis? hosti nihil spopondistis, ciuem neminem spondere pro uobis iussistis. Nihil ergo uobis nec nobiscum est quibus nihil mandastis, nec cum Samnitibus cum quibus nihil egistis. Samnitibus sponsores nos sumus rei satis locupletes in id quod nostrum est, in id quod praestare possumus, corpora nostra et animos; in haec saeuiant, in haec ferrum, in haec iras acuant. Quod ad tribunos attinet, consulite utrum praesens deditio eorum fieri possit an in diem differatur; nos interim, T. Veturi uosque ceteri, uilia haec capita, luendae sponsionis feramus et nostro supplicio liberemus Romana arma."
 
traduzione
 
9 Allora Postumio disse: ?Intanto cominciate col restituire noi che non siamo sacri, ci? che potete fare, senza violare i principi della religione. Poi consegnerete anche costoro che sono inviolabili, non appena avranno esaurito il loro mandato. Se per? mi ascoltate, prima di restituirli, fateli bastonare qui nell'assemblea, in modo tale che paghino l'interesse dovuto per il ritardo con cui viene loro inflitta la pena. Perch? la loro tesi - e cio? che con la nostra consegna il popolo non sar? liberato dai vincoli della religione - essi la sostengono pi? per non essere consegnati che per la reale situazione in atto: chi infatti ha cos? poca esperienza in materia di diritto feziale, da non rendersene conto? Io non voglio negare, o senatori, che tanto le garanzie quanto i trattati sono ritenuti sacri da chi rispetta la parola come un sacro vincolo religioso. Nego per? che senza l'autorizzazione del popolo sia possibile sancire alcun atto che vincoli il popolo stesso. Ma se i Sanniti ci avessero costretti a pronunciare la formula di rito per la consegna della citt? con la stessa violenza con la quale ci hanno estorto questa promessa, voi, o tribuni, direste che il popolo romano si ? rimesso nelle mani dei nemici e che questa citt?, i templi, i santuari, i campi e le acque sono di propriet? dei Sanniti? Lasciamo pure da parte la questione della resa, visto che si tratta di una garanzia personale: ma che dire se avessimo garantito che il popolo romano avrebbe abbandonato questa citt?? Che l'avrebbe incendiata? Che non avrebbe pi? goduto di magistrati, di un senato e di leggi? Che si sarebbe piegata a una monarchia? "Che gli d?i tengano lontano da noi cose di quel genere", direte voi. Eppure non ? l'enormit? delle condizioni poste che pu? eliminare il vincolo della garanzia: se esiste qualcosa cui un popolo pu? essere vincolato, allora lo sar? per qualunque cosa. Ma nemmeno questo argomento - che forse potrebbe toccare la sensibilit? di qualcuno - ha un qualche peso: e cio? che a offrire la garanzia sia stato un console, un dittatore oppure un pretore. Anche i Sanniti hanno giudicato in questo modo, visto che non si sono accontentati dell'idea che a fare da garanti fossero solo i consoli, ma hanno costretto a prestare garanzia anche i luogotenenti, i questori e i tribuni militari. Che adesso nessuno mi venga a chiedere perch? ho offerto questa garanzia, visto che la cosa non rientrava nelle competenze del console, n? io potevo garantire ai nemici una pace che non dipendesse dalla mia volont?, e tanto meno a nome vostro, siccome non mi avevate affidato alcun tipo di incarico. A Caudio nulla ? dipeso dalle decisioni degli uomini: sono stati gli d?i a privare del senno i vostri generali e quelli del nemico. Se noi non ci siamo cautelati a dovere in quella guerra, loro invece hanno sperperato in malo modo una vittoria ottenuta malamente, ora fidandosi poco del luogo grazie al quale avevano avuto la meglio, ora lasciandosi prendere dalla fretta di disarmare a qualunque costo degli uomini nati per le armi. Ma se fossero stati assennati, sarebbe forse stato difficile per loro - mentre convocavano dalla patria gli anziani per averne un parere - inviare ambasciatori a Roma e trattare della pace e delle relative condizioni col senato e col popolo? A inviati veloci sarebbero bastati tre giorni di marcia, mentre nel frattempo si sarebbe potuta fissare una tregua, nell'attesa che rientrassero da Roma gli ambasciatori ad annunciare la vittoria sicura o la pace. Questa s? che sarebbe stata una garanzia, quella che noi avessimo garantito su mandato del popolo. Ma una pace cos? n? voi l'avreste accettata, n? noi l'avremmo garantita, ed ? stato per volere del cielo che le cose non sono andate diversamente: e cio? che i Sanniti si lasciassero ingannare da un sogno troppo bello perch? le loro menti arrivassero a rendersene conto, che il nostro esercito venisse salvato da quella stessa sorte che prima l'aveva avversato, che una vittoria vana fosse vanificata da una pace ancora pi? vana, e che venisse offerta una garanzia che non vincolava nessuno tranne chi se n'era fatto garante. E infatti, o senatori, cos'? stato trattato con voi, cosa col popolo romano? Chi pu? chiamarvi in causa, chi pu? sostenere di essere stato ingannato da voi? I nemici o i concittadini? Ai nemici non avete garantito nulla, n? avete ordinato ad alcun cittadino di offrire una garanzia a nome vostro. Per questo non avete alcun tipo di obbligo n? verso di noi, cui non avete ordinato nulla, n? verso i Sanniti, con i quali non avete trattato nulla. Di fronte ai Sanniti i garanti siamo noi, responsabili e nella posizione di poter offrire soddisfazione per quel che siamo in grado di offrire, ovvero i nostri corpi e le nostre menti: ? contro di questi che devono infierire, contro di questi che devono rivolgere le loro spade e la loro rabbia. Per quel che poi concerne i tribuni, stabilite voi se la loro consegna si possa effettuare s?bito, o la si debba differire ad altra data. Nel frattempo noi, o Tito Veturio e voi altri, offriamo queste nostre povere persone come soddisfazione della garanzia data, e liberiamo le armi romane con la pena inflittaci?.
 

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