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Ovidio


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Livio
Ab urbe condita IX, 18
 
originale
 
[18] Et loquimur de Alexandro nondum merso secundis rebus, quarum nemo intolerantior fuit. Qui si ex habitu nouae fortunae nouique, ut ita dicam, ingenii quod sibi uictor induerat spectetur, Dareo magis similis quam Alexandro in Italiam uenisset et exercitum Macedoniae oblitum degenerantemque iam in Persarum mores adduxisset. Referre in tanto rege piget superbam mutationem uestis et desideratas humi iacentium adulationes, etiam uictis Macedonibus graues nedum uictoribus, et foeda supplicia et inter uinum et epulas caedes amicorum et uanitatem ementiendae stirpis. Quid si uini amor in dies fieret acrior? quid si trux ac praeferuida ira??nec quicquam dubium inter scriptores refero?nullane haec damna imperatoriis uirtutibus ducimus? id uero periculum erat, quod leuissimi ex Graecis qui Parthorum quoque contra nomen Romanum gloriae fauent dictitare solent, ne maiestatem nominis Alexandri, quem ne fama quidem illis notum arbitror fuisse, sustinere non potuerit populus Romanus; et aduersus quem Athenis, in ciuitate fracta Macedonum armis, cernente tum maxime prope fumantes Thebarum ruinas, contionari libere ausi sunt homines, id quod ex monumentis orationum patet, aduersus eum nemo ex tot proceribus Romanis uocem liberam missurus fuerit. Quantalibet magnitudo hominis concipiatur animo; unius tamen ea magnitudo hominis erit collecta paulo plus decem annorum felicitate; quam qui eo extollunt quod populus Romanus etsi nullo bello multis tamen proeliis uictus sit, Alexandro nullius pugnae non secunda fortuna fuerit, non intellegunt se hominis res gestas, et eius iuuenis, cum populi iam octingentesimum bellantis annum rebus conferre. Miremur si, cum ex hac parte saecula plura numerentur quam ex illa anni, plus in tam longo spatio quam in aetate tredecim annorum fortuna uariauerit? quin tu homines cum homine, [et] duces cum duce, fortunam cum fortuna confers? quot Romanos duces nominem quibus nunquam aduersa fortuna pugnae fuit? paginas in annalibus magistratuumque fastis percurrere licet consulum dictatorumque quorum nec uirtutis nec fortunae ullo die populum Romanum paenituit. Et quo sint mirabiliores quam Alexander aut quisquam rex, denos uicenosque dies quidam dictaturam, nemo plus quam annum consulatum gessit; ab tribunis plebis dilectus impediti sunt; post tempus ad bella ierunt, ante tempus comitiorum causa reuocati sunt; in ipso conatu rerum circumegit se annus; collegae nunc temeritas, nunc prauitas impedimento aut damno fuit; male gestis rebus alterius successum est; tironem aut mala disciplina institutum exercitum acceperunt. At hercule reges non liberi solum impedimentis omnibus sed domini rerum temporumque trahunt consiliis cuncta, non sequuntur. Inuictus ergo Alexander cum inuictis ducibus bella gessisset et eadem fortunae pignora in discrimen detulisset; immo etiam eo plus periculi subisset quod Macedones unum Alexandrum habuissent, multis casibus non solum obnoxium sed etiam offerentem se, Romani multi fuissent Alexandro uel gloria uel rerum magnitudine pares, quorum suo quisque fato sine publico discrimine uiueret morereturque.
 
traduzione
 
18 E stiamo parlando di un Alessandro non ancora sommerso dall'eccesso di fortuna, che mai nessuno seppe reggere in maniera meno decisa di lui. Se poi ci mettiamo a giudicarlo per il comportamento tenuto nella nuova sorte e per il nuovo modo di essere di cui, per cos? dire, si rivest? dopo aver trionfato, se ne pu? dedurre che in Italia sarebbe arrivato pi? simile a Dario che ad Alessandro, trascinando un esercito che ormai non aveva pi? memoria della Macedonia ed era precipitato nella degenerazione morale dei Persiani. Dispiace dover menzionare in un sovrano tanto grande l'arrogante trasformazione di costumi e modi di vita e la volont? di farsi adulare dai sudditi in ginocchio (cosa questa difficile da tollerare per dei vinti, figurarsi poi per i Macedoni reduci da tanti trionfi), le vergognose condanne a morte e le uccisioni di amici nel pieno della sbronza durante i banchetti, e il vezzo di attribuirsi falsi alberi genealogici. E cosa dire poi della passione per il bere che giorno dopo giorno cresceva sempre di pi?? E della sua ira truce e cieca (e qui non sto certo a parlare di cose che siano in dubbio tra gli storici)? Bisogna forse pensare che tutti questi difetti non danneggino le qualit? di un generale? Il pericolo era proprio questo - come pi? volte ripetono gli storici greci meno affidabili, loro che arrivano a esaltare il valore dei Parti per odio verso Roma -, e cio? che il popolo romano non fosse in grado di sostenere l'altisonante nome di Alessandro (che in realt? ho l'impressione non conoscessero neppure per sentito dire), e che l'uomo contro il quale gli Ateniesi avevano avuto il coraggio di parlare a viso aperto in assemblea, come risulta dalle orazioni, non ostante si trovassero in una citt? piegata dalle armi macedoni, e che proprio in quel momento vedeva quasi ancora fumare le rovine di Tebe, possibile che nessuno di tutti quegli illustri uomini politici romani avrebbe osato attaccarlo verbalmente in piena libert?? Per quanto grande possa a noi sembrare la statura di quell'uomo, ci? non ostante la sua sar? pur sempre la grandezza di un unico individuo, concentrata in poco pi? di dieci anni di buona sorte. Quanti la esaltano, sostenendo che il popolo romano, pur non avendo perduto alcuna guerra, ? stato tuttavia vinto in molte battaglie, l? dove invece per Alessandro nessuna battaglia ebbe esito sfortunato, non si rendono conto di confrontare le imprese di un solo individuo (per di pi? giovane) con quelle di un popolo che guerre ne combatte da ormai ottocento anni. Dovremmo forse stupirci se, essendo da una parte il numero delle generazioni superiore agli anni dell'altra, ci siano stati pi? rivolgimenti del destino in uno spazio di tempo tanto lungo che nell'arco di tredici anni? Perch? mai non mettere a confronto la fortuna di un individuo con quella di un altro individuo, di un generale con quella di un altro generale? Quanti comandanti romani potrei menzionare, per i quali l'esito della battaglia non fu mai sfavorevole? Basta scorrere gli annali e i fasti dei magistrati per trovare i nomi di consoli e di dittatori dotati di capacit? e con successi ottenuti dei quali il popolo romano non dovette mai dispiacersi. E, ci? che li rende pi? apprezzabili di Alessandro o di qualsiasi altro sovrano, il fatto che alcuni di essi detennero la dittatura per dieci o venti giorni, e nessuno il consolato per un periodo pi? lungo di un anno. I tribuni della plebe ostacolavano l'esecuzione delle leve militari, ed essi dovevano partire per il fronte in ritardo, e venivano richiamati prima del mandato per presiedere le elezioni. L'anno di carica scadeva esattamente nel momento di massimo sforzo, e spesso l'imprudenza del collega o la sua cattiva disposizione erano di ostacolo, arrivando a produrre anche danni. Avevano il c?mpito di condurre una campagna avviata malamente da altri, e si ritrovavano con un esercito di reclute o di soldati privi di disciplina. Invece, per Ercole, i re non sono soltanto liberi da qualunque condizionamento ma, padroni degli eventi e del proprio tempo, non vanno dietro passivamente alle cose che accadono, ma le governano piegandole alle loro idee. Di conseguenza Alessandro si sarebbe scontrato con dei generali che non avevano conosciuto la sconfitta, mettendo sulla bilancia le stesse garanzie del destino. Anzi, avrebbe rischiato di pi?, per il fatto che i Macedoni avevano un solo Alessandro, che non era solamente esposto a molteplici pericoli ma vi si esponeva spontaneamente, mentre tra i Romani erano molti gli uomini pari ad Alessandro per gloria e imprese, e ciascuno di essi avrebbe potuto, a seconda del proprio destino, vivere o morire senza esporre lo Stato ad alcun rischio.
 

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