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Livio
Ab urbe condita IX, 30
 
originale
 
[30] Itaque consules, qui eum annum secuti sunt, C. Iunius Bubulcus tertium et Q. Aemilius Barbula iterum, initio anni questi apud populum deformatum ordinem praua lectione senatus, qua potiores aliquot lectis praeteriti essent, negauerunt eam lectionem se, quae sine recti prauique discrimine ad gratiam ac libidinem facta esset, obseruaturos et senatum extemplo citauerunt eo ordine qui ante censores Ap. Claudium et C. Plautium fuerat. Et duo imperia eo anno dari coepta per populum, utraque pertinentia ad rem militarem: unum, ut tribuni militum seni deni in quattuor legiones a populo crearentur, quae antea perquam paucis suffragio populi relictis locis dictatorum et consulum ferme fuerant beneficia?tulere eam rogationem tribuni plebei L. Atilius C. Marcius?: alterum, ut duumuiros nauales classis ornandae reficiendaeque causa idem populus iuberet; lator huius plebi sciti fuit M. Decius tribunus plebis. Eiusdem anni rem dictu paruam praeterirem, ni ad religionem uisa esset pertinere. Tibicines, quia prohibiti a proximis censoribus erant in aede Iouis uesci quod traditum antiquitus erat, aegre passi Tibur uno agmine abierunt, adeo ut nemo in urbe esset qui sacrificiis praecineret. Eius rei religio tenuit senatum legatosque Tibur miserunt: [ut] darent operam ut ii homines Romanis restituerentur. Tiburtini benigne polliciti primum accitos eos in curiam hortati sunt uti reuerterentur Romam; postquam perpelli nequibant, consilio haud abhorrente ab ingeniis hominum eos adgrediuntur. Die festo alii alios per speciem celebrandarum cantu epularum [causa] inuitant, et uino, cuius auidum ferme id genus est, oneratos sopiunt atque ita in plaustra somno uinctos coniciunt ac Romam deportant; nec prius sensere quam plaustris in foro relictis plenos crapulae eos lux oppressit. Tunc concursus populi factus, impetratoque ut manerent, datum ut triduum quotannis ornati cum cantu atque hac quae nunc sollemnis est licentia per urbem uagarentur, restitutumque in aede uescendi ius iis qui sacris praecinerent. Haec inter duorum ingentium bellorum curam gerebantur.
 
traduzione
 
30 E cos? i consoli dell'anno successivo, Gaio Giunio Bubulco per la terza volta e Quinto Emilio Barbula per la seconda, appena entrati in carica si lamentarono di fronte al popolo del fatto che il corpo dei senatori fosse stato deformato dalla pessima scelta operata, in virt? della quale erano stati esclusi parecchi individui migliori di quelli eletti, e si rifiutarono di garantire validit? alla lista dei nuovi membri del senato, dicendo che era stata stilata in base al capriccio e alle amicizie personali, senza distinzione tra buoni e cattivi; cos? convocarono immediatamente il senato attenendosi all'elenco in vigore prima della censura di Appio Claudio e Gaio Plauzio. Quell'anno vennero attribuite in base al voto del popolo due cariche di natura militare: il primo provvedimento stabiliva l'elezione da parte del popolo di sedici tribuni militari per quattro legioni, mentre in precedenza i posti riservati ai candidati di nomina popolare erano pochi, e l'assegnazione della carica era appannaggio quasi esclusivo di dittatori e consoli. La proposta venne presentata dai tribuni della plebe Lucio Atilio e Gaio Marcio. Il secondo provvedimento stabiliva invece che spettasse al popolo nominare anche i duumviri navali, il cui c?mpito era quello di allestire la flotta e di organizzarne la manutenzione. L'iniziativa di questo plebiscito fu del tribuno della plebe Marco Decio. In quel medesimo anno si verific? un episodio di cui non parlerei perch? privo di importanza, se non fosse che sembr? toccare la sfera religiosa. I flautisti, indignati perch? gli ultimi censori avevano loro vietato di celebrare il tradizionale banchetto nel tempio di Giove (usanza tramandata fin dai tempi antichi), si recarono in massa a Tivoli, sicch? a Roma non rimase nessuno in grado di accompagnare con la musica i riti sacrificali. Il senato guar-d? alla cosa come a un'irregolarit? di natura religiosa, e invi? a Tivoli degli ambasciatori con il c?mpito di fare tutto il possibile per ricondurre a Roma i suonatori. I Tiburtini garantirono il loro interessamento: in un primo tempo convocarono i flautisti nella curia e li invitarono a rientrare a Roma; ma poi, vedendo che non riuscivano a convincerli, li ingannarono ricorrendo a un espediente del tutto appropriato alla natura di quelle persone. In un giorno di festa i cittadini, chi in un modo chi in un altro, invitarono i flautisti nelle loro case con il pretesto di rallegrare il banchetto con la musica, e li fecero bere - i flautisti sono solitamente molto amanti del vino -, finch? si addormentarono. Cos?, immersi nel sonno com'erano, li misero su dei carri e li riportarono a Roma. I flautisti non si accorsero di nulla, se non quando la luce del giorno li sorprese ancora in preda ai fumi dell'ebbrezza, sui carri abbandonati nel Foro. L'afflusso di popolo che ci fu li convinse a rimanere. Fu loro concesso di andare in giro per la citt?, tre giorni all'anno, suonando ornati a festa, abbandonandosi a quel tipo di baldoria che ? in uso ancora oggi, e venne di nuovo assicurato il diritto di celebrare il banchetto nel tempio di Giove a quanti accompagnavano i riti sacri con la musica. Tutto questo avveniva nel pieno della preoccupazione per due grandi guerre.
 

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