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Ovidio


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Livio
Ab urbe condita IX, 43
 
originale
 
[43] In Samnio quoque, quia decesserat inde Fabius, noui motus exorti. Calatia et Sora praesidiaque quae in his Romana erant expugnata et in captiuorum corpora militum foede saeuitum. Itaque eo P. Cornelius cum exercitu missus. Marcio noui hostes?iam enim Anagninis Hernicisque aliis bellum iussum erat?decernuntur. Primo ita omnia opportuna loca hostes inter consulum castra inter ceperunt ut peruadere expeditus nuntius non posset et per aliquot dies incerti rerum omnium suspensique de statu alterius uterque consul ageret, Romamque is metus manaret, adeo ut omnes iuniores sacramento adigerentur atque ad subita rerum duo iusti scriberentur exercitus. Ceterum Hernicum bellum nequaquam pro praesenti terrore ac uetusta gentis gloria fuit: nihil usquam dictu dignum ausi, trinis castris intra paucos dies exuti, triginta dierum indutias ita ut ad senatum Romam legatos mitterent pacti sunt bimestri stipendio frumentoque et singulis in militem tunicis. Ab senatu ad Marcium reiecti, cui senatus consulto permissum de Hernicis erat; isque eam gentem in deditionem accepit. Et in Samnio alter consul superior uiribus, locis impeditior erat. Omnia itinera obsaepserant hostes saltusque peruios ceperant ne qua subuehi commeatus possent; neque eos, cum cottidie signa in aciem consul proferret, elicere ad certamen poterat, satisque apparebat neque Samnitem certamen praesens nec Romanum dilationem belli laturum. Aduentus Marci, qui Hernicis subactis maturauit collegae uenire auxilio, moram certaminis hosti exemit. Nam ut qui ne alteri quidem exercitui se ad certamen credidissent pares, coniungi utique passi duos consulares exercitus nihil crederent superesse spei, aduenientem incomposito agmine Marcium adgrediuntur. Raptim conlatae sarcinae in medium et, prout tempus patiebatur, instructa acies. Clamor primum in statiua perlatus, dein conspectus procul puluis tumultum apud alterum consulem in castris fecit; isque confestim arma capere iussis raptimque eductis in aciem militibus transuersam hostium aciem atque alio certamine occupatam inuadit, clamitans summum flagitium fore, si alterum exercitum utriusque uictoriae compotem sinerent fieri nec ad se sui belli uindicarent decus. Qua impetum dederat, perrumpit aciemque per mediam in castra hostium tendit et uacua defensoribus capit atque incendit. Quae ubi flagrantia Marcianus miles conspexit et hostes respexere, tum passim fuga coepta Samnitium fieri; sed omnia obtinet caedes nec in ullam partem tutum perfugium est. Iam triginta milibus hostium caesis signum receptui consules dederant colligebantque in unum copias inuicem inter se gratantes, cum repente uisae procul hostium nouae cohortes, quae in supplementum scriptae fuerant, integrauere caedem. In quas nec iussu consulum nec signo accepto uictores uadunt, malo tirocinio imbuendum Samnitem clamitantes. Indulgent consules legionum ardori, ut qui probe scirent nouum militem hostium inter perculsos fuga ueteranos ne temptando quidem satis certamini fore. Nec eos opinio fefellit: omnes Samnitium copiae, ueteres nouaeque, montes proximos fuga capiunt. Eo et Romana erigitur acies, nec quicquam satis tuti loci uictis est et de iugis, quae ceperant, funduntur; iamque una uoce omnes pacem petebant. Tum trium mensum frumento imperato et annuo stipendio ac singulis in militem tunicis ad senatum pacis oratores missi. Cornelius in Samnio relictus: Marcius de Hernicis triumphans in urbem rediit statuaque equestris in foro decreta est, quae ante templum Castoris posita est. Hernicorum tribus populis, Aletrinati Verulano Ferentinati, quia maluerunt quam ciuitatem, suae leges redditae conubiumque inter ipsos, quod aliquamdiu soli Hernicorum habuerunt, permissum. Anagninis quique arma Romanis intulerant ciuitas sine suffragii latione data: concilia conubiaque adempta et magistratibus praeter quam sacrorum curatione interdictum. Eodem anno aedes Salutis a C. Iunio Bubulco censore locata est, quam consul bello Samnitium uouerat. Ab eodem collegaque eius M. Valerio Maximo uiae per agros publica impensa factae. Et cum Carthaginiensibus eodem anno foedus tertio renouatum legatisque eorum, qui ad id uenerant, comiter munera missa.
 
traduzione
 
43 Poich? Fabio aveva lasciato la zona, anche nel Sannio ripresero le ostilit?. I Sanniti espugnarono Calazia e Sora con i presidi romani che vi si trovavano, e infierirono barbaramente sui prigionieri. Per questo Publio Cornelio venne mandato l? con un esercito. A Marcio venne invece affidata la spedizione contro i nemici recenti, visto che agli Anagnini e al resto degli Ernici era gi? stata dichiarata guerra. In una prima fase i nemici occuparono tutti i punti strategici tra gli accampamenti dei due consoli, cos? che non poteva passare nemmeno un messaggero disarmato, e per parecchi giorni i consoli rimasero senza notizie preoccupandosi l'uno e l'altro delle sorti del collega. L'apprensione contagi? anche Roma, al punto che tutti i giovani vennero chiamati alle armi; furono formati cos? due eserciti completi per affrontare gli imprevisti del caso. Ma la guerra contro gli Ernici non corrispose alle paure che aveva suscitato n? alla gloria militare che quel popolo aveva dimostrato in passato. Non presero mai, da nessuna parte, alcuna iniziativa degna di essere menzionata: persi tre accampamenti nel giro di pochi giorni, scesero a patti ottenendo una tregua di trenta giorni, in maniera da poter inviare una delegazione al senato di Roma; la condizione fu che pagassero lo stipendio all'esercito, e fornissero i viveri per due mesi e una veste per ogni soldato. Il senato li indirizz? a Marcio, cui confer? con un proprio decreto pieni poteri circa le condizioni da imporre agli Ernici. Ed egli ne accett? la resa. Nel Sannio l'altro console, pur avendo la superiorit? numerica, era in difficolt? per la natura impervia dei luoghi. I nemici avevano sbarrato tutte le vie di comunicazione, occupando i passi praticabili per impedire i rifornimenti. E il console, pur schierando ogni giorno il suo esercito in ordine di battaglia, non riusciva a trascinare i Sanniti allo scontro, ed era evidente che n? i Sanniti avevano intenzione per il momento di accettare battaglia, n? i Romani di sopportare che la guerra venisse tirata per le lunghe. L'arrivo di Marcio, accorso in aiuto del collega dopo aver sottomesso gli Ernici, tolse per? ai nemici la possibilit? di evitare ancora lo scontro. Infatti, siccome gi? prima non si ritenevano in grado di affrontare in campo aperto un solo esercito, adesso erano convinti di non avere pi? alcuna speranza, nel caso in cui avessero permesso ai due eserciti consolari di riunirsi. E per questo piombarono sulle truppe di Marcio che si stavano avvicinando in formazione poco compatta. Il console fece s?bito abbandonare a terra i bagagli e schier? i suoi come il caso gli permetteva. In un primo tempo arriv? al campo il frastuono delle urla, poi il polverone alzato in lontananza dest? grande apprensione nell'accampamento dell'altro console. Questi immediatamente diede ordine di armarsi e, dopo aver tempestivamente schierato i suoi in ordine di battaglia, assal? il fianco delle truppe nemiche, gi? impegnate in un altro scontro, urlando che sarebbe stata una grossa umiliazione se avessero lasciato all'altro esercito l'onore di entrambe le vittorie, senza rivendicare per se stessi la gloria nella guerra toccata loro. Sfondarono l? dove avevano attaccato e, attraversate le linee avversarie, avanzarono fino all'accampamento nemico, che presero e diedero alle fiamme perch? completamente sguarnito. Quando i soldati di Marcio videro le fiamme e anche i nemici si voltarono a guardare, i Sanniti cominciarono a darsi alla fuga da una parte e dall'altra: ovunque per? furono raggiunti dal massacro, senza trovare scampo in alcuna direzione. Dopo che gi? 30.000 nemici erano stati uccisi, il console fece suonare la ritirata. Stavano gi? raccogliendo le truppe complimentandosi a vicenda, quando all'improvviso apparvero all'orizzonte nuovi contingenti nemici (erano ausiliari inviati a sostegno): cos? la strage fu completa. Senza nemmeno aspettare l'ordine dei consoli n? il segnale di battaglia, i vincitori si riversarono loro addosso, urlando che i Sanniti avrebbero dovuto iniziare la loro ferma con un duro tirocinio. I consoli non si opposero allo slancio delle legioni, consapevoli del fatto che le giovani reclute nemiche, mescolate ai veterani in rotta, non avrebbero neppure avuto il coraggio di tentare il combattimento. Il loro ragionamento non si dimostr? sbagliato: tutte le forze sannite, vecchie e nuove, fuggirono verso i monti circostanti. Ma anche l'esercito romano si diresse da quella parte, e non c'era pi? un punto che fosse sicuro per gli sconfitti, scacciati anche dalle alture che avevano occupato. Ormai chiedevano la pace a una voce sola. Dopo aver subito l'onere di fornire il grano per tre mesi, pagare lo stipendio per un anno e dotare ogni soldato di una tunica, i Sanniti inviarono al senato una delegazione per chiedere la pace. Cornelio rimase nel Sannio. Marcio ritorn? a Roma, dove entr? in trionfo per la vittoria sugli Ernici, e gli venne decretata una statua equestre nel Foro, che fu collocata di fronte al tempio di Castore. Alle tre citt? erniche di Alatri, Veroli e Ferentino vennero lasciate le loro leggi, perch? avevano preferito questa condizione alla cittadinanza romana, e fu loro concesso il diritto di contrarre matrimonio misto (diritto questo che essi furono i soli tra gli Ernici a conservare a lungo). Agli abitanti di Anagni e al resto delle genti che avevano preso le armi contro Roma fu concessa la cittadinanza romana senza diritto di voto, venne revocato il diritto di libera assemblea e di matrimonio misto, e fu loro vietato di avere dei magistrati propri, fatta eccezione per quelli che si occupavano del culto. Nello stesso anno il censore Gaio Giunio Bubulco appalt? la costruzione del tempio della Salute da lui promesso in voto quand'era console durante la guerra contro i Sanniti. Lo stesso Giunio insieme al collega Marco Valerio Massimo fece costruire a spese dello stato una rete di strade che attraversava le campagne. E ancora in quell'anno venne rinnovato per la terza volta il trattato con Cartagine, e gli ambasciatori venuti a Roma per questo scopo ricevettero doni e un trattamento di grande cortesia.
 

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