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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita IX, 46
 
originale
 
[46] Eodem anno Cn. Flauius Cn. Filius scriba, patre libertino humili fortuna ortus, ceterum callidus uir et facundus, aedilis curulis fuit. Inuenio in quibusdam annalibus, cum appareret aedilibus fierique se pro tribu aedilem uideret neque accipi nomen quia scriptum faceret, tabulam posuisse et iurasse se scriptum non facturum; quem aliquanto ante desisse scriptum facere arguit Macer Licinius tribunatu ante gesto triumuiratibusque, nocturno altero, altero coloniae deducendae. Ceterum, id quod haud discrepat, contumacia aduersus contemnentes humilitatem suam nobiles certauit; ciuile ius, repositum in penetralibus pontificum, euolgauit fastosque circa forum in albo proposuit, ut quando lege agi posset sciretur; aedem Concordiae in area Volcani summa inuidia nobilium dedicauit; coactusque consensu populi Cornelius Barbatus pontifex maximus uerba praeire, cum more maiorum negaret nisi consulem aut imperatorem posse templum dedicare. Itaque ex auctoritate senatus latum ad populum est ne quis templum aramue iniussu senatus aut tribunorum plebei partis maioris dedicaret.?haud memorabilem rem per se, nisi documentum sit aduersus superbiam nobilium plebeiae libertatis, referam. Ad collegam aegrum uisendi causa Flauius cum uenisset consensuque nobilium adulescentium, qui ibi adsidebant, adsurrectum ei non esset, curulem adferri sellam eo iussit ac sede honoris sui anxios inuidia inimicos spectauit.?ceterum Flauium dixerat aedilem forensis factio, Ap. Claudi censura uires nacta, qui senatum primus libertinorum filiis lectis inquinauerat et, posteaquam eam lectionem nemo ratam habuit nec in curia adeptus erat quas petierat opes urbanas, humilibus per omnes tribus diuisis forum et campum corrupit; tantumque Flaui comitia indignitatis habuerunt ut plerique nobilium anulos aureos et phaleras deponerent. Ex eo tempore in duas partes discessit ciuitas; aliud integer populus, fautor et cultor bonorum, aliud forensis factio tenebat, donec Q. Fabius et P. Decius censores facti et Fabius simul concordiae causa, simul ne humillimorum in manu comitia essent, omnem forensem turbam excretam in quattuor tribus coniecit urbanasque eas appellauit. Adeoque eam rem acceptam gratis animis ferunt ut Maximi cognomen, quod tot uictoriis non pepererat hac ordinum temperatione pareret. Ab eodem institutum dicitur ut equites idibus Quinctilibus transueherentur.
 
traduzione
 
46 Nello stesso anno, lo scrivano Gneo Flavio, figlio di un liberto (uomo per altro in gamba e ottimo parlatore) e di condizione molto umile, venne eletto edile curule. In alcuni annali ho trovato che, quando faceva ancora lo scrivano al servizio degli edili, vedendo che le trib? lo stavano designando edile ma che il suo nome non era tenuto in considerazione per la sua occupazione, depose la tavoletta giurando che non avrebbe mai pi? fatto quel lavoro. Ma Licinio Macro sostiene che Flavio doveva aver smesso molto prima di fare lo scrivano, perch? era gi? stato tribuno della plebe e triumviro per due volte, la prima addetto alla vigilanza notturna, la seconda alla deduzione di una colonia. ? comunque assodato che lott? con grande fermezza contro i nobili i quali ne disprezzavano le umili origini. Rese di pubblico dominio le formule del diritto civile, custodite negli archivi segreti dei pontefici, e fece affiggere nel Foro il calendario dei giorni fasti, perch? tutti fossero al corrente dei giorni nei quali potevano adire le vie legali. Consacr? il tempio della Concordia nell'area di Vulcano, suscitando grande indignazione tra i nobili, perch? in quell'occasione il pontefice massimo Cornelio Barbato fu costretto dal consenso unanime del popolo a suggerirgli le formule del rituale, non ostante continuasse a ripetere che per tradizione i soli autorizzati a consacrare un tempio erano il console o il comandante in capo delle forze armate. In s?guito a quell'episodio, su proposta del senato, venne presentata al popolo una legge in virt? della quale nessuno poteva consacrare un tempio o un altare senza l'autorizzazione del senato o della maggioranza dei tribuni della plebe. Riferir? poi un episodio che di per s? non avrebbe alcuna importanza, ma che risulta essere una prova tangibile del senso di libert? della plebe davanti alla tracotanza nobiliare. Poich? Flavio era andato a fare visita a un collega malato, e i giovani nobili seduti intorno non si erano alzati di proposito al suo arrivo, egli fece portare laggi? la sedia curule e dall'alto di quel simbolo della sua autorit? rimase a guardare i suoi avversari che si consumavano di rabbia. A eleggere Flavio era stata la fazione del Foro, divenuta potente grazie alla censura di Appio Claudio, che era stato il primo a contaminare la purezza del senato immettendovi figli di liberti. Ma poich? nessuno aveva considerato valida quella scelta ed egli non era riuscito a ottenere in senato quel potere politico che intendeva raggiungere, divise fra tutte le trib? i cittadini di pi? umile estrazione, corrompendo cos? il Foro e il Campo Marzio. E l'elezione di Flavio suscit? un tale sdegno, che la maggior parte dei nobili abbandon? l'anello d'oro e il medaglione da cavalieri. Da quel momento la citt? risult? divisa in due partiti: da un lato la parte di popolo che non era ancora corrotta e che sosteneva e rispettava i cittadini di estrazione pi? elevata, mentre dall'altro c'era la feccia del Foro, fino a quando vennero nominati censori Quinto Fabio e Publio Decio, e Fabio - vuoi per evitare che i comizi finissero in mano alla canaglia pi? abietta, vuoi per ristabilire la concordia - separ? tutta la plebaglia del Foro, concentrandola in quattro trib? cui diede il nome di "urbane". A quanto si racconta i cittadini avrebbero avuto per lui una gratitudine tale da attribuirgli, in relazione a questo assennato riordinamento delle classi, il soprannome di Massimo, che non era riuscito a ottenere pur con tutte le vittorie sul campo. Sembra che sia stato ancora Fabio ad avere introdotto l'usanza di passare in rassegna i cavalieri alle idi di luglio.
 

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