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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Livio
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Ab urbe condita X, 14
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originale
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[14] Consules noui, Q. Fabius Maximus quartum et P. Decius Mus tertium, cum inter se agitarent uti alter Samnites hostes, alter Etruscos deligeret, quantaeque in hanc aut in illam prouinciam copiae satis et uter ad utrum bellum dux idoneus magis esset, ab Sutrio et Nepete et Faleriis legati, auctores concilii Etruriae populorum de petenda pace haberi, totam belli molem in Samnium auerterunt. Profecti consules, quo expeditiores commeatus essent et incertior hostis qua uenturum bellum foret, Fabius per Soranum, Decius per Sidicinum agrum in Samnium legiones ducunt. ubi in hostium fines uentum est, uterque populabundus effuso agmine incedit. Explorant tamen latius quam populantur; igitur non fefellere ad Tifernum hostes in occulta ualle instructi, quam ingressos Romanos superiore ex loco adoriri parabant. Fabius impedimentis in locum tutum remotis praesidioque modico imposito praemonitis militibus adesse certamen, quadrato agmine ad praedictas hostium latebras succedit. Samnites desperato improuiso tumultu, quando in apertum semel discrimen euasura esset res, et ipsi acie iusta maluerunt concurrere. Itaque in aequum descendunt ac fortunae se maiore animo quam spe committunt; ceterum, siue quia ex omnium Samnitium populis quodcumque roboris fuerat contraxerant seu quia discrimen summae rerum angebat animos, aliquantum quoque aperta pugna praebuerunt terroris. Fabius ubi nulla ex parte hostem loco moueri uidit, Maximum filium et M. Valerium tribunos militum, cum quibus ad primam aciem procurrerat, ire ad equites iubet et adhortari ut, si quando unquam equestri ope adiutam rem publicam meminerint, illo die adnitantur ut ordinis eius gloriam inuictam praestent: peditum certamine immobilem hostem restare; omnem reliquam spem in impetu esse equitum. Et ipsos nominatim iuuenes, pari comitate utrumque, nunc laudibus, nunc promissis onerat. Ceterum quando, ne ea quoque temptata uis proficeret, consilio grassandum, si nihil uires iuuarent, ratus, Scipionem legatum hastatos primae legionis subtrahere ex acie et ad montes proximos quam posset occultissime circumducere iubet; inde ascensu abdito a conspectu erigere in montes agmen auersoque hosti ab tergo repente se ostendere. Equites ducibus tribunis haud multo plus hostibus quam suis, ex improuiso ante signa euecti, praebuerunt tumultus. Aduersus incitatas turmas stetit immota Samnitium acies nec parte ulla pelli aut perrumpi potuit; et postquam inritum inceptum erat, recepti post signa proelio excesserunt. Creuit ex eo hostium animus nec sustinere frons prima tam longum certamen increscentemque fiducia sui uim potuisset, ni secunda acies iussu consulis in primum successisset. Ibi integrae uires sistunt inuehentem se iam Samnitem; et tempore inprouisa ex montibus signa clamorque sublatus non uero tantum metu terruere Samnitium animos; nam et Fabius Decium collegam appropinquare exclamauit, et pro se quisque miles adesse alterum consulem, adesse legiones gaudio alacres fremunt; errorque utilis Romanis oblatus fugae formidinisque Samnites impleuit maxime territos ne ab altero exercitu integro intactoque fessi opprimerentur. Et quia passim in fugam dissipati sunt, minor caedes quam pro tanta uictoria fuit: tria milia et quadringenti caesi, capti octingenti ferme et triginta; signa militaria capta tria et uiginti.
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traduzione
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14 I nuovi consoli, Quinto Fabio Massimo per la quarta volta e Publio Decio Mure per la terza, dovevano scegliere il proprio campo di operazione, contro i Sanniti l'uno, contro gli Etruschi l'altro. Mentre discutevano quante forze fossero necessarie per ciascun fronte, e chi dei due fosse pi? indicato a gestire l'una o l'altra campagna, arrivarono ambasciatori da Sutri, Nepi e Faleri ad annunciare che i popoli dell'Etruria stavano tenendo assemblee apposite sulla richiesta di pace. Perci? tutti gli sforzi bellici vennero concentrati sull'obiettivo sannita. Partiti da Roma, i consoli guidarono gli eserciti nel Sannio seguendo percorsi diversi, per far s? che l'approvvigionamento di viveri fosse pi? facile e il nemico avesse maggiori incertezze sulla direzione dell'attacco. Fabio pass? attraverso il territorio di Sora, Decio attraverso quello dei Sidicini. Arrivati al confine, entrambi avanzarono in ordine sparso dedicandosi al saccheggio, spingendosi per? ad esplorare aree pi? lontane di quelle saccheggiate. Per questo non sfugg? loro che i nemici si erano concentrati in una valle nascosta presso Tiferno, con il proposito di aggredire i Romani da un punto sopraelevato quando fossero entrati nella valle. Lasciati i carriaggi in un luogo sicuro, con un modesto presidio, Fabio avvert? gli uomini dell'imminenza del combattimento, e si avvicin? in formazione a colonne affiancate al nascondiglio dei nemici. I Sanniti, persa la speranza della sorpresa, poich? prima o poi si doveva pure arrivare allo scontro aperto, preferirono uscire allo scoperto schierandosi anch'essi in ordine di battaglia. Cos? scesero a valle, affidandosi alla sorte pi? con la forza del coraggio che con quella della speranza. Ci? non ostante, sia perch? avevano messo insieme il meglio degli uomini di tutte le genti sannite, sia perch? uno scontro la cui posta era tanto elevata ne accresceva l'ardore, anche in campo aperto restarono per qualche tempo avversari capaci di incutere timore.
Fabio, vedendo che il nemico non cedeva in nessun punto, ordin? ai tribuni militari Massimo, suo figlio, e Marco Valerio, col quale si era spinto fino in prima fila, di avvicinarsi ai cavalieri e di esortarli, nel ricordo di altre occasioni in cui l'intervento della cavalleria aveva aiutato la repubblica, a fare di tutto quel giorno per mantenere intatta la reputazione del loro ordine. Nell'urto con la fanteria, i nemici erano rimasti sulle proprie posizioni, e ormai ogni speranza era affidata alla carica dei cavalieri. Poi, rivolgendosi in particolare ai due giovani con lo stesso affetto, li copr? di lodi e di promesse. Qualora per? anche quel tentativo di sfondamento non avesse avuto successo, convinto di dover ricorrere all'astuzia ove la forza non fosse stata sufficiente, Fabio ordin? al luogotenente Scipione di ritirare dallo scontro gli astati della prima legione e di portarli verso i monti vicini, agendo nella maniera meno evidente possibile, e poi, attraverso un percorso non in vista, di far salire il suo manipolo fin sulla cima, sbucando all'improvviso alle spalle del nemico. E i cavalieri, con alla testa i tribuni spintisi tutt'a un tratto in prima linea, crearono scompiglio tra i nemici non meno che tra gli stessi compagni. Il fronte sannita tenne duro contro la carica della cavalleria, senza indietreggiare o aprirsi in alcun punto. I cavalieri, poich? il loro assalto non aveva avuto successo, si ritirarono alle spalle della fanteria abbandonando il combattimento. Quell'episodio fece crescere l'ardore dei nemici, e la prima linea non avrebbe potuto reggere un urto protratto tanto a lungo, se il console non avesse ordinato alla seconda di prenderne il posto. Fu allora che le forze fresche fermarono i Sanniti gi? in procinto di avanzare, mentre la vista degli uomini armati comparsi all'improvviso sulle cime delle alture, e le urla da essi levate spaventarono i nemici al punto da far loro temere un pericolo superiore alle sue reali proporzioni. Fabio infatti grid? che il collega Decio si stava avvicinando, e allora ogni soldato romano esult?, urlando al colmo dell'eccitazione che stava arrivando l'altro console con le sue legioni. Quest'errata interpretazione, un vero vantaggio per i Romani, divent? per i Sanniti motivo di sgomento e incentivo alla fuga: gi? stremati, avevano il terrore di essere sopraffatti da quell'altro esercito in forze e ancora intatto. Erano fuggiti disordinatamente in varie direzioni, e il massacro che segu? non eguagli? per proporzioni la vittoria. Le vittime tra i nemici furono 3.400, i prigionieri 830, ventitr? le insegne conquistate.
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