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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita X, 35
 
originale
 
[35] Alteri consuli M. Atilio nequaquam tam facile bellum fuit. Cum ad Luceriam duceret legiones quam oppugnari ab Samnitibus audierat, ad finem Lucerinum ei hostis obuius fuit. Ibi ira uires aequauit; proelium uarium et anceps fuit, tristius tamen euentu Romanis, et quia insueti erant uinci et quia digredientes magis quam in ipso certamine senserunt quantum in sua parte plus uolnerum ac caedis fuisset. Itaque is terror in castris ortus, qui si pugnantes cepisset, insignis accepta clades foret; tum quoque sollicita nox fuit iam inuasurum castra Samnitem credentibus aut prima luce cum uictoribus conserendas manus. Minus cladis, ceterum non plus animorum ad hostes erat. ubi primum inluxit, abire sine certamine cupiunt. Sed uia una et ea ipsa praeter hostes erat; qua ingressi praebuere speciem recta tendentium ad castra oppugnanda. Consul arma capere milites iubet et sequi se extra uallum; legatis, tribunis, praefectis sociorum imperat quod apud quemque facto opus est. Omnes adfirmant se quidem omnia facturos sed militum iacere animos; tota nocte inter uolnera et gemitus morientium uigilatum esse; si ante lucem ad castra uentum foret, tantum pauoris fuisse ut relicturi signa fuerint; nunc pudore a fuga contineri, alioqui pro uictis esse. Quae ubi consul accepit, sibimet ipsi circumeundos adloquendosque milites ratus, ut ad quosque uenerat, cunctantes arma capere increpabat: quid cessarent tergiuersarenturque? hostem in castra uenturum nisi illi extra castra exissent, et pro tentoriis suis pugnaturos si pro uallo nollent. Armatis ac dimicantibus dubiam uictoriam esse; qui nudus atque inermis hostem maneat, ei aut mortem aut seruitutem patiendam. Haec iurganti increpantique respondebant confectos se pugna hesterna esse; nec uirium quicquam nec sanguinis superesse; maiorem multitudinem hostium apparere quam pridie fuerit. Inter haec appropinquabat agmen; et iam breuiore interuallo certiora intuentes uallum secum portare Samnitem adfirmant nec dubium esse quin castra circumuallaturi sint. Tunc enimuero consul indignum facinus esse uociferari tantam contumeliam ignominiamque ab ignauissimo accipi hoste. "etiamne circumsedebimur" inquit "in castris, ut fame potius per ignominiam quam ferro, si necesse est, per uirtutem moriamur?" facerent?quod di bene uerterent?quod se dignum quisque ducerent; consulem M. Atilium uel solum, si nemo alius sequatur, iturum aduersus hostes casurumque inter signa Samnitium potius quam circumuallari castra Romana uideat. Dicta consulis legati tribunique et omnes turmae equitum et centuriones primorum ordinum approbauere. Tum pudore uictus miles segniter arma capit, segniter e castris egreditur longo agmine nec continenti; maesti ac prope uicti procedunt aduersus hostem nec spe nec animo certiorem. Itaque simul conspecta sunt Romana signa, extemplo a primo Samnitium agmine ad nouissimum fremitus perfertur exire, id quod timuerint, ad impediendum iter Romanos; nullam inde ne fugae quidem patere uiam; illo loco aut cadendum esse aut stratis hostibus per corpora eorum euadendum.
 
traduzione
 
35 Per l'altro console, Marco Atilio, la campagna non fu certo altrettanto facile. Mentre era alla guida delle legioni sulla strada per Luceria - che aveva saputo attaccata dai Sanniti -, gli si par? innanzi il nemico ai confini del territorio di Luceria. Fu la rabbia a rendere pari le forze in campo: la battaglia si svolse nell'incertezza e a fasi alterne, ma il verdetto finale fu pi? pesante per i Romani, sia perch? non erano abituati alla sconfitta, sia perch? all'atto di allontanarsi dal campo, pi? ancora che nel pieno dello scontro, si accorsero quanto fossero numericamente superiori le loro perdite e i loro feriti. Perci? tra i soldati al rientro al campo ci fu una tale ondata di sconforto, che se solo li avesse colti nel corso della battaglia li avrebbe portati a una pesante sconfitta. La notte fu ugualmente carica di tensioni, perch? i Romani erano convinti che i Sanniti attaccassero di l? a poco l'accampamento, o che altrimenti alle prime luci del giorno si dovesse ricominciare a combattere col nemico reduce dalla vittoria. Gli avversari avevano subito perdite minori, anche se non potevano contare su un morale pi? alto. Non appena fu giorno, volevano andarsene senza combattere, ma c'era una sola strada e passava proprio vicino al nemico. Cos?, essendosi messi in marcia attraverso quella via, diedero ai Romani l'impressione di essere diretti ad attaccare l'accampamento. Il console diede disposizione agli uomini di armarsi e di seguirlo al di l? della trincea, e ordin? ai luogotenenti, ai tribuni e ai prefetti alleati ci? che ciascuno di essi avrebbe dovuto fare. Tutti si dissero pronti a eseguire ogni ordine, ma rilevarono che i soldati erano demoralizzati, dopo aver passato una notte insonne tra le ferite e i lamenti dei moribondi. Se i nemici si fossero avvicinati all'accampamento romano prima del sorgere del sole, la paura sarebbe stata cos? grande da far abbandonare agli uomini i posti di combattimento. Al momento a trattenerli dalla fuga era solo la vergogna, ma per il resto erano come degli sconfitti. Quando il console ud? queste parole, decise di andare in giro di persona a parlare ai soldati, e appena arrivava presso i vari reparti rimproverava s?bito quelli che indugiavano a vestire le armi, e domandava quale fosse il motivo di tutti quei tentennamenti e quelle esitazioni. Diceva che i nemici sarebbero entrati nell'accampamento, se essi non ne fossero usciti, e che si sarebbero trovati a combattere di fronte alle proprie tende, se non volevano andare a combattere al di l? della trincea: la vittoria - ricordava - ? s? incerta per chi prende le armi e va a combattere, ma quelli che attendono il nemico disarmati e senza difendersi sono destinati alla schiavit? o alla morte. Di fronte a queste aspre rampogne, gli uomini replicavano di essere stremati per la battaglia del giorno prima, di non avere pi? a disposizione n? forze n? sangue, e di aver l'impressione che il numero dei nemici fosse ancora superiore rispetto alla giornata precedente. Nel frattempo l'esercito nemico si stava avvicinando, e quando lo si pot? distinguere per il diminuire della distanza, gli uomini cominciarono a dire che i Sanniti avevano con s? i paletti per la trincea, e che avrebbero certamente circondato l'accampamento con una palizzata. Allora il console grid? che era indegno accettare una simile vergognosa umiliazione da un nemico vile pi? di ogni altro, e aggiunse: ?Dunque ci lasceremo assediare anche all'interno dell'accampamento, e moriremo di fame con ignominia, piuttosto che valorosamente - se sar? necessario - a colpi di spada??. Ciascuno si regolasse nel modo che gli sembrava pi? degno di s? (e che gli d?i lo aiutassero): il console Marco Atilio, se nessun altro lo voleva seguire, avrebbe marciato contro il nemico anche da solo cadendo in mezzo alle insegne dei Sanniti, piuttosto che vedere l'accampamento romano circondato da una palizzata. I luogotenenti, i tribuni, tutti gli squadroni di cavalleria e i centurioni dei reparti scelti salutarono con un applauso le parole del console. Allora i soldati, toccati nell'onore, si armarono contro voglia, uscirono contro voglia dal campo schierati in una fila lunga e rarefatta, e con l'aria di chi era gi? battuto marciarono contro il nemico che non aveva certo n? il morale pi? alto n? maggiori speranze di vittoria. E cos?, non appena i Sanniti videro le insegne romane, dalle prime file alle ultime cominci? s?bito a correre voce che i Romani - come essi temevano - stavano uscendo dall'accampamento per impedire loro il passaggio. Quindi non c'era pi? alcuno sbocco aperto nemmeno per la fuga, ed era inevitabile cadere l? o uscire vivi passando sui corpi dei nemici stesi a terra.
 

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