[24] Haec identidem adseverans summa cum trepidatione inrepit cubiculum et pyxidem depromit arcula. Quam ego amplexus ac deosculatus prius utque mihi prosperis faveret volatibus deprecatus abiectis propere laciniis totis avide manus immersi et haurito plusculo uncto corporis mei membra perfricui. Iamque alternis conatibus libratis brachiis in avem similis gestiebam; nec ullae plumulae nec usquam pinnulae, sed plane pili mei crassantur in setas et cutis tenella duratur in corium et in extimis palmulis perdito numero toti digiti coguntur in singulas ungulas et de spinae meae termino grandis cauda procedit. Iam facies enormis et os prolixum et nares hiantes et labiae pendulae; sic et aures inmodicis horripilant auctibus. Nec ullum miserae reformationis video solacium, nisi quod mihi iam nequeunti tenere Photidem natura crescebat.
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Dopo avermi ripetuto pi? volte tali assicurazioni, entr? tutta emozionata in quella stanzetta e prese dallo scrigno il vasetto. Come io l'ebbi fra le mani me lo strinsi al petto e cominciai a baciarlo pregando che mi facesse fare voli felici, poi, liberatomi in fretta di tutti i vestiti, immersi avidamente le dita nel barattolo e preso un bel po' di unguento me lo spalmai su tutto il corpo. Poi, agitando le braccia su e gi? mi misi a fare l'uccello, ma niente: penne non ne spuntavano e nemmeno piume; piuttosto i peli cominciarono a diventare ispidi come setole, la pelle, delicata com'era, a farsi dura come il cuoio, alle estremit? degli arti le dita si confusero, riunendosi in una sola unghia e in fondo alla colonna vertebrale spunt? una gran coda.
Poi eccomi con una faccia enorme, una bocca allungata, le narici spalancate, le labbra penzoloni, mentre smisuratamente pelose mi erano cresciute le orecchie. Nulla in quell'orribile metamorfosi di cui potessi per qualche verso compiacermi, se non per il mio arnese diventato grossissimo, ma proprio quando, ormai, non potevo pi? tener Fotide tra le mie braccia.
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