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brano
 
Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), VIII, 12
 
originale
 
12. "En" inquit "fidus coniugis mei comes, en venator egregius, en carus maritus. Haec est illa dextera quae meum sanguinem fudit, hoc pectus quod fraudulentas ambages in meum concinnavit exitium, oculi isti quibus male placui, qui quodam modo tamen iam futuras tenebras auspicantes venientes poenas antecedunt. Quiesce securus, beate somniare. Non ego gladio, non ferro petam; absit ut simili mortis genere cum marito meo coaequeris: vivo tibi morientur oculi nec quicquam videbis nisi dormiens. Faxo feliciorem necem inimici tui quam vitam tuam sentias. Lucem certe non tenebis, nuptias non frueris, nec mortis quiete recreaberis nec vitae voluptate laetaberis, sed incertum simulacrum errabis inter Orcum et solem, et diu quaeres dexteram quae tuas expugnavit pupulas, quodque est in aerumna miserrimum, nescies de quo queraris. At ego sepulchrum mei Tlepolemi tuo luminum cruore libato et sanctis manibus eius istis oculis parentabo. Sed quid mora temporis dignum cruciatum lucraris et meos forsitan tibi pestiferos imaginaris amplexus? Relictis somnulentis tenebris ad aliam poenalem evigila caliginem. Attolle vacuam faciem, vindictam recognosce, infortunium intellege, aerumnas computa. Sic pudicae mulieri tui placuerunt oculi, sic faces nuptiales tuos illuminarunt thalamos. Vltrices habebis pronubas et orbitatem comitem et perpetuae conscientiae stimulum."
 
traduzione
 
?'Eccolo qui,' grid?,' l'amico fidato del mio sposo, il leale cacciatore, il mio affettuoso pretendente. Questa ? la mano che sparse il mio sangue, questo il petto che ha ordito gli inganni infernali per la mia rovina, questi gli occhi ai quali piacqui per mia sventura ma che, avvolti come sono ora nelle tenebre anticipano gi? la pena che li attende. Riposa pure tranquillo, fa' pure sogni felici. Non avr? spada, io, non lancia per ucciderti. Non voglio che tu somigli al mio sposo fosse pure nel genere di morte: tu vivrai, ma a morire saranno i tuoi occhi e non vedrai pi? nulla se non in sogno. Far? in modo che pi? fortunato stimerai il tuo rivale per la sua morte che non te per la tua vita. Non vedrai mai pi? la luce e avrai sempre bisogno della mano di un compagno, ma non avrai quella di Carite, non godrai delle sue nozze, n? ti consoler? la pace della morte, n? gioirai dei piaceri della vita ma, ombra inquieta, andrai vagando tra l'Averno e il sole e a lungo cercherai quella mano che ti ha preso gli occhi e non saprai di chi lagnarti e questo far? la tua sventura ancora pi? orribile. Io, invece, offrire al sepolcro di Tlepolemo il sangue delle tue pupille, sacrificher? ai suoi santi Mani questi tuoi occhi. Ma perch? dilazionare la pena che ti aspetta? magari lasciarti godere in sogno dei miei amplessi a te fatali? Sgombra le tenebre del sonno e destati per entrare in quelle del tuo castigo. Leva in alto il tuo volto spento, riconosci la vendetta, renditi conto della tua sventura, valuta la tua pena. Cosi sono piaciuti i tuoi occhi alla casta moglie, cos? le fiaccole nuziali hanno illuminato le tue nozze. Ti saranno pronube le Furie vendicatrici, compagna la cecit?, continuo tormento il rimorso.'
 

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