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brano
 
Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), VIII, 22
 
originale
 
22. Celerrime denique longo itinere confecto pagum quendam accedimus ibique totam perquiescimus noctem. Ibi coeptum facinus oppido memorabile narrare cupio. Servus quidam, cui cunctam familiae tutelam dominus permiserat, suus quique possessionem maximam illam, in quam deverteramus, vilicabat, habens ex eodem famulitio conservam coniugam, liberae cuiusdam extrariaeque mulieris flagrabat cupidine. Quo dolore paelicatus uxor eius instricta cunctas mariti rationes et quicquid horreo reconditum continebatur admoto combussit igne. Nec tali damno tori sui contumeliam vindicasse contenta, iam contra sua saeviens viscera laqueum sibi nectit, infantulumque, quem de eodem marito iam dudum susceperat, eodem funiculo nectit seque per altissimum puteum adpendicem parvulum trahens praecipitat. Quam mortem dominus eorum aegerrime sustinens adreptum servulum, qui causam tanti sceleris luxurie sua praestiterat, nudum ac totum melle perlitum firmiter alligavit arbori ficulneae, cuius in ipso carioso stipite inhabitantium formicarum nidificia bulliebant et ultro citro commeabant multiiuga scaturrigine. Quae simul dulcem ac mellitum corporis nidorem persentiscunt, parvis quidem sed numerosis et continuis morsiunculis penitus inhaerentes, per longi temporis cruciatum ita, carnibus atque ipsis visceribus adesis, homine consumpto membra nudarunt, ut ossa tantum viduata pulpis nitore nimio candentia funestae cohaererent arbori.
 
traduzione
 
A perdifiato facemmo un lungo pezzo di strada finch? non giungemmo a un villaggio e qui ci fermammo per la notte. In quel luogo per? era successo poco prima un fatto che val la pena di raccontare. Uno schiavo, al quale il padrone aveva affidato la sorveglianza di tutta la servit? e, praticamente, la sovrintendenza della sua vasta propriet?, quella dove noi c'eravamo fermati, aveva preso in moglie una schiava che lavorava nella medesima casa, ma s'era follemente innamorato di un'altra donna, di condizione libera e per giunta forestiera. La moglie tradita, accecata dalla gelosia, diede alle fiamme i registri del marito e tutto quanto egli aveva raccolto nel granaio. Non soddisfatta del danno procurato, che non lavava sufficientemente l'onta del tradimento, la donna infier? contro il suo stesso sangue: si leg? a una corda insieme con un figliuoletto che aveva avuto a suo tempo dal marito e si precipit? in un pozzo profondissimo, tirandosi dietro come un'appendice quella povera creaturina. Il padrone, profondamente turbato per quella morte, arrest? il servo che con la sua condotta aveva provocato una simile tragedia e lo fece legare nudo e tutto ricoperto di miele a un albero di fico il cui tronco tarlato era tutto un brulicare di formiche che andavano su e gi? per il legno, entrando e uscendo da tutti i fori. Appena queste sentirono l'odore dolciastro del miele, in un baleno s'attaccarono a quel corpo e con i loro piccoli ma continui, implacabili morsi, in un supplizio che non pareva aver mai fine, ne rosicchiarono le carni e le stesse viscere fino a spolparlo completamente e finch?, attaccate a quell'albero funesto, non rimasero che ossa biancheggianti.
 

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