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Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), VIII, 28
 
originale
 
28. Specta denique, quale caelesti providentia meritum reportaverit. Infit vaticinatione clamosa conficto mendacio semet ipsum incessere atque criminari, quasi contra fas sanctae religionis dissignasset aliquid, et insuper iustas poenas noxii facinoris ipse de se suis manibus exposcere. Arrepto denique flagro, quod semiviris illis proprium gestamen est, contortis taenis lanosi velleris prolixe fimbriatum et multiiugis talis ovium tesseratum, indidem sese multinodis commulcat ictibus mire contra plagarum dolores praesumptione munitus. Cerneres prosectu gladiorum ictuque flagrorum solum spurcitia sanguinis effeminati madescere. Quae res incutiebat mihi non parvam sollicitudinem videnti tot vulneribus largiter profusum cruorem, ne quo casu deae peregrinae stomachus, ut quorundam hominum lactem, sic illa sanguinem concupisceret asininum. Sed ubi tandem fatigati vel certe suo laniatus satiati pausam carnificinae dedere, stipes aereas immo vero et argenteas multis certatim offerentibus sinu recepere patulo nec non et siliginis aliquid, et nonnullis hordeum deae gerulo donantibus, avidis animis conradentes omnia et in sacculos huic quaestui de industria praeparatos farcientes dorso meo congerunt, ut duplici scilicet sarcinae pondere gravatus et horreum simul et templum incederem.
 
traduzione
 
Ed ecco il compenso che s'ebbe dalla celeste provvidenza: con un tono enfatico cominci? a inventarsi delle accuse contro se stesso, come se avesse commesso chiss? quale sacrilegio e gridava che doveva infliggersi con le sue stesse mani la giusta punizione a tanto crimine. Prese, infatti, uno staffile, di quelli che, di solito, per vezzo, portano questi mezzi uomini, fatto di striscioline di lana ritorta e terminanti in lunghe frange con dentro inseriti ossicini di pecora, e cominci? a colpirsi furiosamente con quell'arnese tutto a groppi resistendo al dolore dei colpi con straordinaria disinvoltura. E cos? per quei tagli di spada e quei colpi di staffile il lurido sangue di quegli invertiti lordava tutto il terreno; e non ? che la cosa mi lasciasse tranquillo: mi chiedevo infatti se tutto quel sangue che colava dalle ferite, per caso non avesse messo voglia allo stomaco di quella dea foresta di assaggiare quello d'asino, cos? come certi si piccano di voler bere latte d'asina. Quando, alla fine, stanchi di torturarsi o, piuttosto, sazi, la smisero con quello scempio, si dettero da fare a raccogliere le monete d'oro e d'argento che gli avevano gettato, un'anfora di vino, latte, formaggio, focacce di farina e di segale, alcuni avevano anche offerto l'orzo per il portatore della dea e quelli arraffarono tutto con bramosia, riempirono i sacchi che avevano portato con loro apposta e me li ammucchiarono addosso, sicch? con quel doppio carico mi pareva proprio d'essere un tempio e insieme un granaio ambulante.
 

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