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Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), IX, 32
 
originale
 
32. Res ipsa mihi poscere videtur ut huius quoque serviti mei disciplinam exponam. Matutino me multis holeribus onustum proxumam civitatem deducere consuerat dominus atque ibi venditoribus tradita merce, dorsum insidens meum, sic hortum redire. Ac dum fodiens, dum irrigans, ceterosque incurvus labore deservit, ego tantisper otiosus placita quiete recreabar. Sed ecce siderum ordinatis ambagibus per numeros dierum ac mensuum remeans annus post mustulentas autumni delicias ad hibernas Capricorni pruinas deflexerat, et adsiduis pluviis nocturnisque rorationibus sub dio et intecto conclusus stabulo continuo discruciabar frigore, quippe cum meus dominus prae nimia paupertate ne sibi quidem nedum mihi posset stramen aliquod vel exiguum tegimen parare, sed frondoso casulae contentus umbraculo degeret. Ad hoc matutino lutum nimis frigidum gelusque praeacuta frusta nudis invadens pedibus enicabar ac ne suetis saltem cibariis ventrem meum replere poteram. Namque et mihi et ipso domino cena par ac similis oppido tamen tenuis aderat, lactucae veteres et insuaves illae, quae seminis enormi senecta ad instar scoparum in amaram caenosi sucus cariem exolescunt.
 
traduzione
 
Ma penso che valga la pena raccontarvi in che cosa consisteva il mio servizio. Al mattino il mio padrone mi menava in citt? carico di verdura e, consegnata la merce ai rivenditori, mi montava in groppa e se ne tornava al suo orto. Mentre lui zappava, innaffiava, se ne stava curvo sul suo lavoro, io me ne rimanevo parecchio tempo a spasso e mi godevo il dolce far niente. Con il passare dei giorni e dei mesi, per?, secondo il prescritto giro degli astri, l'anno si lasci? dietro le dolci vendemmie dell'autunno e si volse alle brine invernali del Capricorno ed io, in una stalla aperta a tutte le inclemenze del tempo, che aveva il cielo per tetto esposta alle continue piogge e all'umidit? della notte, patii un freddo terribile, dal momento che il mio padrone, nella sua estrema indigenza, non poteva procurarsi nemmeno per s?, e figuriamoci poi per me, un po' di strame e un bench? minimo riparo, e doveva, quindi, accontentarsi di una capannetta di frasche. E con tutto questo al mattino mi toccava camminare nel fango gelato e fra i ghiaccioli appuntiti che mi perforavano i piedi; inoltre non potevo nemmeno riempirmi il ventre con i soliti cibi, infatti, se io ed il mio padrone mangiavamo la medesima cena, questa era un ben misero pasto: foglie di lattuga vecchia e amara, gi? spigata, che sembrava scopa, con un sapore amaro e terroso.
 

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