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Apuleio
Della magia, 9
 
originale
 
[9] Mitto haec. uenio ad ceteros uorsus ut illi uocant amatorios, quos tamen tam dure et rustice legere, ut odium mouerent. sed quid ad magica maleficia, quod ego pueros Scriboni Laeti, amici mei, carmine laudaui? an ideo magus, quia poeta? quis unquam fando audiuit tam [ueri]similem suspicionem, tam aptam coniecturam, tam proxumum argumentum? 'fecit uorsus Apuleius'. si malos, crimen est, nec id tamen philosophi, sed poetae; sin bonos, quid accusas? 'at enim ludicros et amatorios fecit'. num ergo haec sunt crimina mea et nomine erratis, qui me magiae detulistis? fecere tamen et alii talia, etsi uos ignoratis: apud Graecos Teius quidam et Lacedaemonius et Ciu[i]s cum aliis innumeris, etiam mulier Lesbia, lasciue illa quidem tantaque gratia, ut nobis insolentiam linguae suae dulcedine carminum commendet, apud nos uero Aedituus et Porcius et Catulus, isti quoque cum aliis innumeris. 'at philosophi non fuere'. num igitur etiam Solonem fuisse serium uirum et philosophum negabis, cuius ille lasciuissimus uersus est: $MHRW=N I(MEI/RWN KAI\ $GLUKEROU= STO/MATOS&? et quid tam petulans habent omnes uersus mei, si cum isto uno contendantur? ut taceam scripta Diogenis Cynici et Zenonis Stoicae sectae conditoris id genus plurima. recitem denuo, ut sciant me eorum non pigere: 'et Critias mea delicia est et salua, Charine, pars in amore meo, uita, tibi remanet; ne metuas; nam me ignis et ignis torreat ut uult, hasce duas flammas, dum potiar, patiar. hoc modo sim uobis, unus sibi quisque quod ipse est: hoc mihi uos eritis, quod duo sunt oculi.' recitem nunc et alios, quos illi quasi intemperantissimos postremum legere: 'florea serta, meum mel, et haec tibi carmina dono. carmina dono tibi, serta tuo genio, carmina, uti, Critia, lux haec optata canatur, quae bis septeno uere tibi remeat, serta autem, ut laeto tibi tempore tempora uernent, aetatis florem floribus ut decores. tu mihi das contra pro uerno flore tuum uer, ut nostra exuperes munera muneribus; pro implexis sertis complexum corpore redde[s], proque rosis oris sauia purpurei. quod si animam inspires donaci, iam carmina nostra cedent uicta tuo dulciloquo calamo.'
 
traduzione
 
Lasciamo questo argomento. Vengo ad altri versi, ai versi d'amore, come essi dicono, che pure hanno letto in modo cos? duro e villano da smuovere la bile. Quale rapporto pu? avere coi magici malefici il fatto che ho composto una poesia in lode dei figli di Scribonio Leto, amico mio? Sono mago perch? sono poeta? Chi ha mai sentito parlare di un sospetto cos? verosimile, di una congettura cos? fondata, di una prova cos? calzante? ?Fece dei versi Apuleio?: se cattivi, ? un delitto e non del filosofo ma del poeta; se buoni, di che mi accusi? ?Ma versi leggeri, versi d'amore egli compose?. Ah son questi davvero i miei delitti? E avete dunque sbagliato accusandomi di magia? Ben altri siffattamente peccarono, se anche voi lo ignorate: presso i Greci un tale di Teos, un Lacedemone, uno di Ceos, con innumerevoli altri; anche una donna di Lesbos, voluttuosa quella veramente e con tanta grazia da fare accettare con la dolcezza del canto l'arditezza del linguaggio; presso di noi Edituo, Porcio, Catulo, anch'essi con innumerevoli altri. ?Ma non erano filosofi costoro?: e negherai dunque che Solone sia stato un personaggio severo ed un filosofo? Ebbene, quel verso pieno di lascivia ? suo: ?desiando le cosce e la bocca soave?. E di fronte a codesto solo che hanno mai di tanto sfacciato i miei versi? E non dico nulla degli scritti di Diogene il cinico e di Zenone, il fondatore della setta stoica, che ne hanno scritte molte, di simili cose. Recitiamoli pure quei versi una volta ancora, perch? sappiano che non ne ho punto vergogna: S?, Critia ? la mia gioia: ma ? salva, Carino, la parte che a te rimane, o mia vita, nell'amor mio. No, non temere, fuoco con fuoco a talento mi bruci: io questa doppia fiamma, pur di godervi, sopporter?. Per l'uno e l'altro io sia quel che ognuno di voi ? per s?: e voi per me sarete quel che sono due occhi. Recitiamo adesso anche gli altri che essi hanno letto per ultimi, come i pi? scostumati: Ecco, dolcezza mia, io t'offro ghirlande e canzoni: offro canzoni a te e al genio tuo ghirlande. Cantino le canzoni, o Critia, la luce del grato giorno che ti riporta sette con sette primavere. Fiorisca di ghirlande, nel tempo lieto, la tua fronte, e tu adorna di fiori il fiore di giovinezza. Per i fiori di primavera tu d?mmi la tua primavera, e supera coi tuoi doni i miei doni. Per gl'intrecciati serdi mi rendi col corpo un amplesso, e per le rose i baci della purpurea bocca. Ma se il tuo fiato spiri nel flauto, tosto i miei canti si taceranno vinti dalla tua dolce zampogna.
 

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