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Apuleio
Della magia, 15
 
originale
 
[15] Aut igitur unius Hagesilai Lacedaemonii sententia nobis sequenda est, qui se neque pingi neque fingi unquam diffidens formae suae passus est, aut si mos omnium ceterorum hominum retinendus uidetur in statuis et imaginibus non repudiandis, cur existimes imaginem suam cuique uisendam potius in lapide quam in argento, magis in tabula quam in speculo? an turpe arbitraris formam suam spectaculo assiduo explorare? an non Socrates philosophus ultro etiam suasisse fertur discipulis suis, crebro ut semet in speculo contemplarentur, ut qui eorum foret pulchritudine sibi complacitus impendio procuraret, ne dignitatem corporis malis moribus dedecoraret, qui uero minus se commendabilem forma putaret sedulo operam daret, ut uirtutis laude turpitudinem tegeret? adeo uir omnium sapientissimus speculo etiam ad disciplinam morum utebatur. Demost[h]enen uero, primarium dicendi artificem, quis est qui non sciat semper ante speculum quasi ante magistrum causas meditatum: ita ille summus orator cum a Platone philosopho facundiam [h]ausisset, ab Eubulide dialectico argumentationes edidicisset, nouissimam pronuntiandi congruentiam ab speculo petiuit. utrum igitur putas maiorem curam decoris in adseueranda oratione suscipiendam rhetori iurganti an philosopho obiurganti, apud iudices sorte ductos paulisper disceptanti an apud omnis homines semper disserenti, de finibus agrorum litiganti an de finibus bonorum et malorum docenti? quid, quod nec ob haec debet tantummodo philosophus speculum inuisere; nam saepe oportet non modo similitudinem suam, uerum etiam ipsius similitudinis rationem considerare: num, ut ait Epicurus, profectae a nobis imagines uelut quaedam exuuiae iugi fluore a corporibus manantes, cum leue aliquid et solidum offenderunt, illisae reflectantur et retro expressae contrauersim respondeant an, ut alii philosophi disputant, radii nostri seu mediis oculis proliquati et lumini extrario mixti atque ita uniti, ut Plato arbitratur, seu tantum oculis profecti sine ullo foris amminiculo, ut Archytas putat, seu intentu a?eris [f]acti, ut Stoici rentur, cum alicui corpori inciderunt spisso et splendido et leui, paribus angulis quibus inciderant resultent ad faciem suam reduces atque ita, quod extra tangant ac uisant, id intra speculum imaginentur.
 
traduzione
 
Dobbiamo, dunque, seguire il proposito del solo Agesilao, il Lacedemone, il quale diffidando del suo aspetto non si lasci? mai n? dipingere n? scolpire o ? da mantenere il costume di tutti gli uomini nel bene accogliere le statue e le immagini? E in tal caso, perch? ritieni si debba vedere la propria immagine nella pietra e non nell'argento: in un quadro e non in uno specchio? Oppure pensi tu sia brutta cosa studiare con assidua contemplazione la propria figura? Socrate, il filosofo, esortava, come si dice, i giovani a contemplarsi spesso nello specchio perch? chi si fosse compiaciuto della propria bellezza badasse attentamente a non disonestare coi mali costumi la dignit? del corpo; chi si ritenesse poco raccomandabile nell'aspetto, si adoprasse a nascondere la bruttezza con le qualit? morali. Tanto quell'uomo, il pi? sapiente fra tutti, si valeva dello specchio per la disciplina dei costumi. E Demostene, il principe dell'arte della parola, chi non sa che egli sempre dinanzi allo specchio quasi davanti a un maestro ripeteva le sue orazioni? Cos? quel sommo oratore, dopo aver attinto da Platone filosofo l'eloquenza e appreso da Eubolide dialettico l'arte dell'argomentazione, chiese per ultimo allo specchio l'armoniosa compostezza della pronuncia. Credi tu dunque che nel far valere la sua orazione debba curare maggiormente il decoro della forma l'avvocato che litiga o il filosofo che ammonisce; colui che discute per un momento davanti a giudici sorteggiati o quello che disserta sempre dinanzi agli uomini tutti? uno che contesta i limiti di un campo o uno che insegna i limiti del bene e del male? N? soltanto per questo un filosofo deve riguardare lo specchio. Spesso ? necessario non solo esaminare la propria rassomiglianza, ma considerare anche le ragioni della somiglianza. Bisogna vedere se, come afferma Epicuro, le immagini movendo dai nostri corpi con perenne flusso, come leggeri tessuti, allorch? hanno urtato un che di liscio e di solido, schiacciate, si riflettano e risaltino per di dietro rovesciate; o, come sostengono altri filosofi, se i nostri raggi, sia emanati dal centro dei nostri occhi e con la luce esterna commisti e unificati, come pensa Platone: sia semplicemente usciti dagli occhi, senza alcun appoggio di luce esterna, secondo la opinione di Archita, sia condotti attraverso il fluido dell'aria, come pensano gli Stoici; se questi raggi, dunque, quando cadono su un corpo solido e brillante e liscio rimbalzino con angoli uguali all'angolo di incidenza, tornando indietro alla figura donde sono partiti, di guisa che ci? che essi toccano e vedono all'esterno raffigurino dentro lo specchio.
 

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