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Ovidio


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autore
brano
 
Apuleio
Della magia, 18
 
originale
 
[18] Idem mihi etiam paupertatem obprobrauit, acceptum philosopho crimen et ultro profitendum. enim paupertas olim philosophiae uernacula est, frugi, sobria, paruo potens, aemula laudis, aduersum diuitias possessa, habitu secura, cultu simplex, consilio benesuada, neminem umquam superbia inflauit, neminem inpotentia deprauauit, neminem tyrannide efferauit, delicias uentris et inguinum neque uult ullas neque potest. quippe haec et alia flagitia diuitiarum alumni solent; maxima quaeque scelera si ex omni memoria hominum percenseas, nullum in illis pauperem reperies, ut contra haut temere inter inlustris uiros diuites comparent, sed quemcunque in aliqua laude miramur, eum paupertas ab incunabulis nutricata est. paupertas, inquam, prisca aput saecula omnium ciuitatium conditrix, omnium artium repertrix, omnium peccatorum inops, omnis gloriae munifica, cunctis laudibus apud omnis nationes perfuncta. eadem est enim paupertas apud Graecos in Aristide iusta, in Phocione benigna, in Epaminonda strenua, in Socrate sapiens, in Homero diserta. eadem paupertas etiam populo Romano imperium a primordio fundauit, proque eo in [h]odiernum diis immortalibus simpulo et catino fictili sacrificat. quod si modo iudices de causa ista sederent C. Fabricius, Gn. Scipio, Manius Curius, quorum filiae ob paupertatem de publico dotibus donatae ad maritos ierunt portantes gloriam domesticam, pecuniam publicam, si Publicola regum exactor et Agrippa populi reconciliator, quorum funus ob tenuis opes a populo Romano collatis [s]extantibus adornatum est, si Atilius Regulus, cuius agellus ob similem penuriam publica pecunia cultus est, si denique omnes illae ueteres prosapiae consulares et censoriae et triumphales breui usura lucis ad iudicium istud remissae audirent, auderesne paupertatem philosopho exprobrare apud tot consules pauperes?
 
traduzione
 
Egli, Pudente, anche della mia povert? ha fatto un delitto: delitto che un filosofo gradisce e apertamente professa. La povert? ? sempre stata domestica ancella della filosofia, onesta, sobria, ricca di poco, gelosa del buon nome, stabile possesso di fronte alle ricchezze, sicura del suo stato, semplice nell'aspetto, provvida di consigli; nessuno ha mai gonfiato di superbia, nessuno ha depravato con la sfrenatezza, nessuno ha imbestiato con la tirannide, le delizie della gola e degli amori non vuole n? saprebbe godere. Queste sono vergogne consuete agli alunni delle ricchezze. Se passi in rassegna i pi? grandi scellerati che la storia ricordi, non troverai tra di essi nessuno povero; e mentre bisogna fare ricerca per trovare dei ricchi fra gli uomini illustri, quanti sono ammirevoli per qualche merito sono stati fin dalla culla nutriti dalla povert?. La povert?, dico, fin dai primi tempi dell'umano consorzio, fondatrice di tutti gli Stati, inventrice di tutte le arti, priva di ogni peccato, larga dispensiera di ogni gloria, operatrice di ogni bene nel mondo. Vedetela presso i Greci: in Aristide giusta, in Focione benigna, in Epaminonda valorosa, in Socrate sapiente, in Omero eloquente; essa stessa, la povert?, ? stata dalle origini fondamento di impero al popolo romano, il quale appunto per ci?, ancora oggi, sacrifica agli d?i immortali con un ramaiolo e una scodella di argilla. Se dovessero sedere giudici in questa causa Gaio Fabrizio, Gneo Scipione, Manio Curio, le cui figlie per la loro povert? furono dotate a spese dello Stato e andarono alle case dei loro mariti portando la gloria domestica e il denaro pubblico; se Publicola, colui che cacciava i re, se Agrippa, riconciliatore del popolo, i cui funerali a cagion di miseria furono fatti mediante pubbliche offerte; se Attilio Regolo, il cui campicello per simile indigenza fu coltivato a spese dello Stato: se insomma tutte quelle antiche famiglie di consoli, di censori, di trionfatori, potessero ritornare un istante alla luce ed assistere a questo processo, oseresti tu rinfacciare la povert? a un filosofo dinanzi a tanti consoli che furono poveri?
 

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