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Ovidio


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Apuleio
Della magia, 20
 
originale
 
[20] Possum equidem tibi et ipsius nominis controuersiam facere, neminem nostrum pauperem esse qui superuacanea nolit, possit necessaria, quae natura oppido pauca sunt. namque is plurimum habebit, qui minimum desiderabit; habebit enim quantum uolet qui uolet minimum. et idcirco diuitiae non melius in fundis et in fenore quam in ipso hominis animo aestimantur, qui si est auaritia egenus et ad omne lucrum inexplebilis, nec montibus auri satiabitur, sed semper aliquid, ante parta ut augeat, mendicabit. quae quidem uera confessio est paupertatis; omnis enim cupido acquirendi ex opinione inopiae uenit, nec refert, quam magnum sit quod tibi minus est. non habuit tantam rem familiarem Philus quantam Laelius, nec Laelius quantam Scipio, nec Scipio quantam Crassus Diues, at enim nec Crassus Diues quantam uolebat; ita cum omnis superaret, a suamet auaritia superatus est omnibusque potius diues uisus est quam sibi. at contra hi philosophi quos commemoraui non ultra uolentes quam poterant, sed congruentibus desideriis et facultatibus iure meritoque dites et beati fuerunt. pauper enim fis appetendi egestate, diues non egendi satietate, quippe qui inopia desiderio, opulentia fastidio cernuntur. igitur, Aemiliane, si pauperem me haberi uis, prius auarum esse doceas necesse est. quod si nihil in animo deest, de rebus extrariis quantum desit non laboro, quarum neque laus in copia neque culpa in penuria consistit.
 
traduzione
 
Ed io potrei anche fare con te questione proprio di parola: e sostenere che nessuno ? povero il quale rinunci al superfluo ed ? provveduto di quel necessario che per natura si riduce a ben poco. Ha il massimo quegli che desidera il minimo; chi vorr? pochissimo avr? infatti quanto vorr?. Le maggiori ricchezze non sono riposte in terre e in capitali, quanto negli appetiti dell'animo nostro, ch? se dall'avidit? ? fatto bisognoso e insaziabile ad ogni guadagno, neppur montagne d'oro gli saranno abbastanza: e per aumentare i suoi guadagni avr? sempre qualcosa da mendicare. ? questa appunto una vera confessione di povert?: perch? ogni desiderio di arricchire viene dal pensiero che ti manchi qualcosa: e non importa quanto sia grande ci? che ti manca. Filo non ebbe un patrimonio cos? grosso quanto Lelio, n? Lelio quanto Scipione, n? Scipione quanto Crasso il ricco, ma neppure Crasso il ricco quanto ne avrebbe voluto. Cos?, mentre superava in richezza tutti gli altri, a tutti sembr? ricco, meno che a s?. Quei sapienti invece, che ho ricordati, nulla volendo al di l? delle proprie forze e avendo anzi accordati i desideri con le loro facolt?, furono a buon diritto meritamente ricchi e fortunati. Tu sei povero per il continuo bisogno di afferrare qualcosa, sei ricco per la saziet? dell'esser pago. Il distintivo della miseria ? il desiderio, quello dell'opulenza ? la saziet?. Cos?, Emiliano, se vorrai che io mi ritenga povero, ? necessario dimostrarmi prima che sono un avaro. Ma se l'animo mio non manca di nulla, io non mi d? pensiero di quanto manchi dei beni esteriori, dei quali l'abbondanza non ? un merito, e la penuria non ? una colpa.
 

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