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Apuleio
Della magia, 26
 
originale
 
[26] auditisne magiam, qui eam temere accusatis, artem esse dis immortalibus acceptam, colendi eos ac uenerandi pergnaram, piam scilicet et diuini scientem, iam inde a Zoroastre et Oromaze auctoribus suis nobilem, caelitum antistitam, quippe qui inter prima regalia docetur nec ulli temere inter Persas concessum est magum esse, haud magis quam regnare. idem Plato in alia sermocinatione de Zalmoxi quodam Thraci generis, sed eiusdem artis uiro ita scriptum reliquit: [?..]. quod si ita est, cur mihi nosse non liceat uel Zalmoxi bona uerba uel Zoroastri sacerdotia? sin uero more uulgari eum isti proprie magum existimant, qui communione loquendi cum deis immortalibus ad omnia quae uelit incredibili[a] quadam ui cantaminum polleat, oppido miror, cur accusare non timuerint quem posse tantum fatentur. neque enim tam occulta et diuina potentia caueri potest itidem ut cetera. sicarium qui in iudicium uocat, comitatus uenit; qui uenenarium accusat, scrupulosius cibatur; qui furem arguit, sua custodit. enimuero qui magum qualem isti dicunt in discrimen capitis deducit, quibus comitibus, quibus scrupulis, quibus custodibus perniciem caecam et ineuitabilem prohibeat? nullis scilicet; et ideo id genus crimen non est eius accusare, qui credit.
 
traduzione
 
Avete ascoltato, dunque. La magia, che voi sconsigliatamente accusate, ? arte gradita agli d?i immortali, che gli d?i sa bene onorare e venerare, pietosa voglio dire ed esperta delle cose divine, gi? fin da Zoroastro e da Oromazo, suoi fondatori, sacerdotessa dei celesti; essa fa parte dei primi insegnamenti del principe, e fra i Persiani non ? pi? lecito a chiunque esser mago che essere re. In un altro dialogo Platone, a proposito di Zalmoxis, uno che pur essendo trace di nazione, praticava la medesima arte, lasci? scritto cos?: ?gl'incantamenti essere buone parole?. Se ? cos?, perch? non mi ? lecito conoscere le buone parole di Zalmoxis o la scienza sacerdotale di Zoroastro? Ma se, com'? volgare costume, i miei avversari credono che mago ? propriamente colui che mediante la sua comunicazione con gli d?i immortali, con la forza di certi incantesimi pu? compiere tutto ci? che voglia di incredibile, mi stupisco in verit? che essi non abbiano temuto di accusare uno cui riconoscono tanto potere. Giacch? da una potenza tanto occulta e soprannaturale non ci si potrebbe guardare come da altri pericoli. Chi chiama in giudizio un assassino, viene accompagnato; chi accusa un avvelenatore, sta pi? attento a quel che mangia; chi denuncia un ladro, custodisce bene le sue cose; ma chi accusa di un delitto capitale un mago, come costoro l'intendono, con quali compagni, con quali scrupoli, con quali custodi pu? rimuovere da s? la invisibile e inevitabile rovina? Per siffatti delitti, chi accusa non crede.
 

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