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Apuleio
Della magia, 66
 
originale
 
[66] Nunc tempus est ad epistulas Pudentillae praeuerti, uel adeo totius rei ordinem paulo altius petere, ut omnibus manifestissime pateat me, quem lucri cupiditate inuasisse Pudentillae domum dictitant, si ullum lucrum cogitarem, fugere semper a domo ista debuisse, quin et in ceteris causis minime prosperum matrimonium, -- nisi ipsa mulier tot incommoda uirtutibus suis repensaret, inimicum. Neque enim ulla alia causa praeter cassam inuidiam repperiri potest, quae iudicium istud mihi et multa antea pericula uitae conflauerit. ceterum cur Aemilianus commoueretur, etsi uere magum me comperisset, qui non modo ullo facto, sed ne tantulo quidem dicto meo laesus est, ut uideretur se merito ultum ire? neque autem gloriae causa me accusat, ut M. Antonius Cn. Carbonem, C. Mucius A. Albucium, P. Sulpicius Cn. Norbanum, C. Furius M' Aquilium, C. Curio Q. Metellum. quippe homines eruditissimi iuuenes laudis gratia primum hoc rudimentum forensis operae subibant, ut aliquo insigni iudicio ciuibus suis noscerentur. qui mos incipientibus adulescentulis ad illustrandum ingenii florem apud antiquos concessus diu exoleuit. quod si nunc quoque frequens esset, tamen ab hoc procul abfuisset; nam neque facundiae ostentatio rudi et indocto neque gloriae cupido rustico et barbaro neque inceptio patrociniorum capulari seni congruisset; nisi forte Aemilianus pro sua seueritate exemplum dedit et ipsis maleficiis infensus accusationem istam pro morum integritate suscepit. at hoc ego Aemiliano, non huic Afro, sed illi Africano et Numantino et praeterea Censorio uix credidissem: ne huic frutici credam non modo odium peccatorum, sed saltem. intellectum inesse.
 
traduzione
 
Ora ? tempo di volgerci alle epistole di Pudentilla, o piuttosto di riprendere un poco pi? da principio la serie dei fatti, perch? a tutti sia chiaramente manifesto che io, accusato di avere invaso per cupidit? di guadagno la casa di Pudentilla, avrei dovuto, se ad alcun guadagno avessi pensato, fuggire per sempre da quella casa: e sia chiaro che il matrimonio, svantaggioso per ogni altro rapporto, senza le virt? di mia moglie che hanno compensato le molte disavventure, mi ? stato nemico. Nessun altro motivo infatti, fuor che una vana gelosia, ha potuto suscitare contro di me questo processo e i molti anteriori pericoli di vita. Per quale altra ragione si sarebbe dovuto commuovere Emiliano, se anche avesse scoperto la mia magia, egli che non dico da nessun atto, ma neppure dalla minima mia parola ? stato mai offeso, si che potesse sentire il bisogno di vendicarsi? E neanche per la gloria egli mi accusa, come fece Marco Antonio con Gneo Carbone, Gaio Mucio con Aulo Albucio, Publio Sulpicio con Gneo Norbano, Gaio Furio con Manio Aquilio, Gaio Curione con Quinto Metello. Giovani eruditissimi per amore di gloria esordivano in tal modo nell'arringo forense, per farsi conoscere dai propri concittadini con qualche processo famoso. Tale consuetudine permessa dagli antichi ai giovani esordienti, perch? rivelassero il fiore del loro ingegno, da gran tempo ? scomparsa. Ma se anche fosse valida ancora, non lo sarebbe per Emiliano. Poich? n? ostentazione di eloquenza si converrebbe a un rozzo ignorante, n? cupidigia di gloria a un barbaro villanzone, n? un esordio forense a un vecchio da cataletto: a meno che Emiliano per l'austerit? dei suoi princ?pi, non abbia voluto dare un esempio e, nemico solamente del male, assumere codesta accusa per soddisfare la sua intemerata coscienza. Ma io questa ipotesi l'ammetterei appena per Emiliano, non per questo nativo dell'Africa, ma per quell'altro Africano e Numantino e Censorio; tanto sono lontano dal credere che in questo palo qui ci sia, non dico l'odio del male, ma neanche il senso del male.
 

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