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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Petronio
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Satiricon, 57
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originale
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[LVII] Ceterum Ascyltos, intemperantis licentiae, cum omnia sublatis manibus eluderet et usque ad lacrimas rideret, unus ex conlibertis Trimalchionis excanduit, is ipse qui supra me discumbebat, et:
"Quid rides, inquit, berbex? An tibi non placent lautitiae domini mei? Tu enim beatior es et convivare melius soles. Ita Tutelam huius loci habeam propitiam, ut ego si secundum illum discumberem, iam illi balatum clusissem. Bellum pomum, qui rideatur alios; larifuga nescio quis, nocturnus, qui non valet lotium suum. Ad summam, si circumminxero illum, nesciet qua fugiat. Non mehercules soleo cito fervere, sed in molle carne vermes nascuntur. Ridet! Quid habet quod rideat? Numquid pater fetum emit lamna? Eques Romanus es? Et ego regis filius. Quare ergo servivisti? Quia ipse me dedi in servitutem et malui civis Romanus esse quam tributarius. Et nunc spero me sic vivere, ut nemini iocus sim. Homo inter homines sum, capite aperto ambulo; assem aerarium nemini debeo; constitutum habui nunquam; nemo mihi in foro dixit: 'Redde quod debes'. Glebulas emi, lamellulas paravi; viginti ventres pasco et canem; contubernalem meam redemi, ne qui in illius capillis manus tergeret; mille denarios pro capite solvi; sevir gratis factus sum; spero, sic moriar, ut mortuus non erubescam. Tu autem tam laboriosus es, ut post te non respicias! In alio peduclum vides, in te ricinum non vides. Tibi soli ridiclei videmur; ecce magister tuus, homo maior natus: placemus illi. Tu lacticulosus, nec 'mu' nec 'ma' argutas, vasus fictilis, immo lorus in aqua: lentior, non melior. Tu beatior es: bis prande, bis cena. Ego fidem meam malo quam thesauros. Ad summam, quisquam me bis poposcit? Annis quadraginta servivi; nemo tamen scit utrum servus essem an liber. Et puer capillatus in hanc coloniam veni; adhuc basilica non erat facta. Dedi tamen operam ut domino satis facerem, homini maiesto et dignitosso, cuius pluris erat unguis quam tu totus es. Et habebam in domo qui mihi pedem opponerent hac illac; tamen -- genio illius gratias! -- enatavi. Haec sunt vera athla; nam in ingenuum nasci tam facile est quam 'Accede istoc'. Quid nunc stupes tanquam hircus in ervilia?"
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traduzione
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57 E intanto Ascilto, con la sua solita faccia tosta, siccome sbracciandosi a pi? non posso sbeffeggiava tutto e tutti e aveva le lacrime agli occhi a forza di ridere, uno dei liberti amico di Trimalcione - proprio quello che stava seduto accanto a me - salta su tutte le furie e gli grida: ?Che c'? da ridere, deficiente? Forse che non ti vanno a genio le finezze del mio padrone? Magari sei pi? ricco tu e sai trattare meglio la gente che inviti a cena. Che il nume tutelare di questa casa mi assista, perch? se sedevo vicino a quel ragazzotto, stai pur certo che a quello l? gli avrei gi? fatto chiudere il becco. Una testa di rapa che sbeffeggia gli altri! Un vagabondo, un brutto ceffo che non vale il suo piscio. Insomma, se gli orino addosso non sa nemmeno dove darsela a gambe. Maledetta miseria, non sono mica uno che si incazza facile, ma la gente molle se la mangiano i vermi! E ride, lui! Ma che avr? mai da ridere? Non sarai mica un figlio di pap?, che ti ha pagato a peso d'oro? O sei cavaliere romano? E io sono figlio di un re. "Ma allora" potresti obiettare tu "com'? che prima facevi lo schiavo?". Ma l'ho scelto io: meglio essere cittadino romano che un tributario di provincia. E adesso mi auguro di vivere cos? e di non venir schernito da chicchessia. Sono un uomo tra gli uomini e cammino a fronte alta. Non devo un centesimo a nessuno e mai ho avuto a che fare con la legge e mai nessuno nel foro mi ha detto: "Ridammi quel che mi devi". Mi son comprato un pezzo di terra e ho messo da parte qualche straccio di risparmi: d? da mangiare a venti persone pi? un cane, ho riscattato la mia compagna che cos? nessuno pu? pi? usare il suo petto come asciugamano, e ho speso mille denari per la mia libert?. Mi hanno eletto seviro senza scucire una lira, e cos? spero di non dover arrossire nemmeno dopo morto. Tu invece sei cos? pieno di cose da fare che non riesci nemmeno a voltarti? La pagliuzza negli occhi degli altri la vedi s?, ma la trave che c'hai nei tuoi no di certo. ? solo a te che noi sembriamo ridicoli. Guarda il tuo maestro: ha un sacco di anni in pi?, ma a lui gli andiamo a genio. Tu che puzzi ancora di biberon, sei fermo al bi e al ba, razza di cesso sfondato, anzi no, pezzo di cuoio nell'acqua: solo pi? molle, mica meglio. Certo, tu sei pi? ricco, e magari ti abbuffi due volte a pranzo e due volte a cena. Ma io alla mia dignit? ci tengo pi? che a tutto l'oro del mondo. Insomma, qualcuno mi ha forse chiesto due volte una cosa? Sono stato schiavo per quarant'anni e mai nessuno ha saputo se ero schiavo o libero. Sono arrivato in questo paese che ero un ragazzino con una gran testa di capelli e che la basilica non c'era ancora. Per? mi son messo sotto per far contento il padrone, che era un pezzo grosso e un tipo rispettato, e una sua unghia valeva pi? di tutto quanto sei tu messo insieme. E pensare che in casa gente pronta a farmi le scarpe ce n'era che met? bastava. Ma io, pace all'anima sua, sono rimasto a galla. Queste s? che sono prove. Perch? a nascere liberi tutto diventa facile, come dire: "Prego, s'accomodi". E adesso perch? mi fissi imbambolato come un caprone in mezzo alle lenticchie??.
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