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Ovidio


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autore
brano
 
Petronio
Satiricon, 64
 
originale
 
[LXIV] Miramur nos et pariter credimus, osculatique mensam rogamus Nocturnas, ut suis se teneant, dum redimus a cena. Et sane iam lucernae mihi plures videbantur ardere totumque triclinium esse mutatum, cum Trimalchio: "Tibi dico, inquit, Plocame, nihil narras? nihil nos delectaris? Et solebas suavius esse, canturire belle deverbia, adicere melicam. Heu, heu, abistis dulces caricae. -- Iam, inquit ille, quadrigae meae decucurrerunt, ex quo podagricus factus sum. Alioquin cum essem adulescentulus, cantando paene tisicus factus sum. Quid saltare? quid deverbia? quid tonstrinum? Quando parem habui nisi unum Apelletem?" Appositaque ad os manu, nescio quid taetrum exsibilavit quod postea Graecum esse affirmabat. Nec non Trimalchio ipse cum tubicines esset imitatus, ad delicias suas respexit, quem Croesum appellabat. Puer autem lippus, sordidissimis dentibus, catellam nigram atque indecenter pinguem prasina involuebat fascia, panemque semissem ponebat supra torum, ac nausia recusantem saginabat. Quo admonitus officio Trimalchio Scylacem iussit adduci "praesidium domus familiaeque". Nec mora, ingentis formae adductus est canis catena vinctus, admonitusque ostiarii calce ut cubaret, ante mensam se posuit. Tum Trimalchio iactans candidum panem: "Nemo, inquit, in domo mea me plus amat." Indignatus puer, quod Scylacem tam effuse laudaret, catellam in terram deposuit hortatusque ut ad rixam properaret. Scylax, canino scilicet usus ingenio, taeterrimo latratu triclinium implevit Margaritamque Croesi paene laceravit. Nec intra rixam tumultus constitit, sed candelabrum etiam supra mensam eversum et vasa omnia crystallina comminuit, et oleo ferventi aliquot convivas respersit. Trimalchio, ne videretur iactura motus, basiavit puerum ac iussit supra dorsum ascendere suum. Non moratus ille usus est equo, manuque plena scapulas eius subinde verberavit, interque risum proclamavit: "Bucco, bucco, quot sunt hic?" Repressus ergo aliquamdiu Trimalchio camellam grandem iussit misceri potiones dividi omnibus servis, qui ad pedes sedebant, adiecta exceptione: "Si quis, inquit, noluerit accipere, caput illi perfunde. Interdiu severa, nunc hilaria".
 
traduzione
 
64 Noi rimaniamo senza fiato come se fossimo convinti e, baciando la tavola, imploriamo le creature della notte di restare nelle loro dimore, quando di l? a poco ce ne saremmo tornati dalla cena. A dir la verit? io iniziavo a vedere le lampade doppie e mi sembrava che tutta la sala fosse mutata, quando Trimalcione esclama: ?Plocamo, dico a te, possibile che tu non ci racconti nulla? Non vuoi proprio farci divertire? E dire che un tempo eri pi? simpatico, canticchiavi dei motivetti ch'era un piacere e anche quelle canzoncine d'amore. Ahim?, bei giorni che furono!?. ?Ormai? fa quello, ?sono arrivato al traguardo. Adesso ho la gotta. E pensare che quando ero giovane, a forza di cantare quasi mi prendo la tisi. E ballare? E recitare? E fare il barbiere? Ma quando mai c'? stato uno del mio livello, tolto Apellete??. E accostata una mano alla bocca, ne cava fuori non so quale spernacchiata che ci spaccia per musica greca. Ovviamente anche Trimalcione, per non essere da meno, si mette a imitare quelli che suonano la tromba, poi si gira a guardare il suo tesoro, un ragazzino tutto cisposo e coi denti cariati che lui chiamava Creso. Quest'ultimo, alle prese con una cagnetta nera, grassa da far schifo, che cercava di avvolgere in una fascia verde pisello, aveva piazzato sul letto una pagnotta da mezza libbra e tentava di ingozzarla a tutti i costi, anche se la bestia si tirava indietro per la nausea. Di fronte a quello spettacolo, Trimalcione ordina che gli venga portato Cucciolone, ?guardiano della casa e della famiglia?. Un attimo dopo viene fatto entrare un cane enorme, con tanto di catena al collo, che, non appena il portinaio gli tira un calcio ordinandogli di fare la cuccia, si va a piazzare davanti alla tavola. E allora Trimalcione, allungandogli un pezzo di pane bianco, dichiara: ?Non c'? nessuno in casa mia che mi ami di pi??. Ma il ragazzino, indispettito da quel complimento tanto smaccato a Cucciolone, mette a terra la cagnetta e la aizza alla rissa. E Cucciolone, da vero cane qual era, riempie la sala di orrendi latrati e per poco non fa a pezzi la perla di Creso. Ma il gran bailamme non si esaurisce nella zuffa, perch? un candelabro, rovesciandosi sulla tavola, manda in mille pezzi tutti i vasi di cristallo, schizzando di olio bollente parecchi commensali. Trimalcione, per far vedere che quel disastro non gli faceva n? caldo n? freddo, bacia il ragazzino e se lo fa salire sulle spalle. Quello non se lo fa ripetere due volte: gli si mette a cavalcioni e gli assesta delle gran pacche a mano aperta sulla schiena, strillando tra una risata e l'altra: ?Indovina indovinello quante sono queste qua!?. Dopo essersi finalmente sfogato, Trimalcione ordina di preparare un gavettone per dare da bere ai servi seduti ai nostri piedi, ma a una condizione: ?Se qualcuno non gli va, rovesciateglielo in testa: di giorno seriet?, ma adesso allegria?.
 

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