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Ovidio


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autore
brano
 
Petronio
Satiricon, 92
 
originale
 
[XCII] Et iam plena nox erat mulierque cenae mandata curaverat, cum Eumolpus ostium pulsat. Interrogo ego: "Quot estis?" obiterque per rimam foris speculari diligentissime coepi, num Ascyltos una venisset. Deinde ut solum hospitem vidi, momento recepi. Ille ut se in grabatum reiecit viditque Gitona in conspectu ministrantem, movit caput et: "Laudo, inquit, Ganymedem. Oportet hodie bene sit". Non delectavit me tam curiosum principium, timuique ne in contubernium recepissem Ascylti parem. Instat Eumolpus, et cum puer illi potionem dedisset: "Malo te, inquit, quam balneum totum " siccatoque avide poculo negat sibi unquam acidius fuisse." Nam et dum lavor, ait, paene vapulavi, quia conatus sum circa solium sedentibus carmen recitare; et postquam de balneo tanquam de theatro eiectus sum, circuire omnes angulos coepi et clara voce Encolpion clamitare. Ex altera parte iuvenis nudus, qui vestimenta perdiderat, non minore clamoris indignatione Gitona flagitabat. Et me quidem pueri tanquam insanum imitatione petulantissima deriserunt, illum autem frequentia ingens circumvenit cum plausu et admiratione timidissima. Habebat enim inguinum pondus tam grande, ut ipsum hominem laciniam fascini crederes. O iuvenem laboriosum! puto illum pridie incipere, postero die finire. Itaque statim invenit auxilium; nescio quis enim, eques Romanus, ut aiebant, infamis, sua veste errantem circumdedit ac domum abduxit, credo, ut tam magna fortuna solus uteretur. At ego ne mea quidem vestimenta ab officioso recepissem, nisi notorem dedissem. Tanto magis expedit inguina quam ingenia fricare". Haec Eumolpo dicente mutabam ego frequentissime vultum, iniuriis scilicet inimici mei hilaris, commodis tristis. Vtcunque tamen, tanquam non agnoscerem fabulam, tacui et cenae ordinem explicui. <. . .>
 
traduzione
 
92 Era gi? notte fonda e la padrona ci aveva preparato la cena come richiesto, quando Eumolpo buss? alla porta. ?Quanti siete?? domandai io, correndo a sbirciare dal buco della serratura per accertarmi se c'era anche Ascilto. Ma quando vidi che il mio ospite era da solo, lo feci subito entrare. Quello si lasci? cadere sul mio letto. Scorgendo per? Gitone impegnato ad apparecchiare, esclam?: ?Gran bel pezzo di Ganimede! Qui stasera si folleggia?. Questa curiosa uscita non mi and? gi? per niente e cominciai a temere di essermi trascinato in casa uno simile ad Ascilto. Ma Eumolpo insisteva e, mentre il ragazzo gli porgeva da bere, gli disse: ?Meglio te che tutti quelli del bagno messi insieme?. Dopo essersi scolato il bicchiere tutto d'un fiato, ci confess? che non gli era mai capitato di peggio. ?Mentre mi stavo lavando? disse lui, ?per poco non mi prendevano a sprangate perch? mi ero messo a declamare una poesia a quelli seduti sul bordo della vasca. Dopo esser stato scacciato dal bagno come se fossi stato a teatro, cominciai a girare in lungo e in largo e a chiamare a gran voce "Encolpio!". Ma dalla parte opposta vidi venire verso di me un giovane senza niente addosso (i vestiti li aveva persi), che gridava con lo stesso tono di voce arrabbiata "Gitone!". E mentre a me dei ragazzini facevano malamente il verso come se fossi stato fuori di testa, quello invece venne circondato da una enorme folla che gli batteva le mani con grande rispetto e ammirazione. Il fatto ? che il tizio aveva tra le gambe un arnese talmente grosso che lui, dico l'uomo, sembrava una semplice appendice del suo membro. Che giovanotto in gamba! Mi sa che quello attaccava la sera e finiva la mattina. E infatti trov? subito chi gli diede una mano. Infatti, un tale non meglio identificato, un cavaliere romano (a quanto pare non uno stinco di santo), gli butt? addossso il mantello e se lo port? a casa per godersi, credo, da solo tutto quel ben di dio. Io, invece, non sarei riuscito nemmeno farmi ridare i vestiti dal guardaroba, se non avessi trovato un testimone. Com'? vero che al mondo ? meglio lavorare d'uccello che non di cervello?. Mentre Eumolpo raccontava questa storia, io continuavo a cambiare espressione, divertendomi un mondo per le disgrazie del mio avversario e rattristandomi di fronte ai suoi successi. Ad ogni modo me ne stetti zitto, fingendo di non sapere nulla di quella faccenda e ordinai che ci portassero la cena. *
 

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