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Ovidio


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autore
brano
 
Petronio
Satiricon, 102
 
originale
 
[CII] -- Quin potius, inquam ego, ad temeritatem confugimus, et per funem lapsi descendimus in scapham, praecisoque vinculo reliqua Fortunae committimus? Nec ego in hoc periculum Eumolpon arcesso. Quid enim attinet innocentem alieno periculo imponere? Contentus sum, si nos descendentes adiuverit casus. -- Non imprudens, inquit, consilium, Eumolpos, si aditum haberet. Quis enim non euntes notabit? Vtique gubernator, qui pervigil nocte siderum quoque motus custodit. Et utcumque imponi vel dormienti posset, si per aliam partem navis fuga quaereretur: nunc per puppim, per ipsa gubernacula delabendum est, a quorum regione funis descendit, qui scaphae custodiam tenet. Praeterea illud miror, Encolpi, tibi non succurrisse, unum nautam stationis perpetuae interdiu noctuque iacere in scapha, nec posse inde custodem nisi aut caede expelli aut praecipitari viribus. Quod an fieri possit, interrogate audaciam vestram. Nam quod ad meum quidem comitatum attinet, nullum recuso periculum, quod salutis spem ostendit. Nam sine causa spiritum tanquam rem vacuam impendere ne vos quidem existimo velle. Videte, numquid hoc placeat: ego vos in duas iam pelles coniciam vinctosque loris inter vestimenta pro sarcinis habebo, apertis scilicet aliquatenus labris, quibus et spiritum recipere possitis et cibum. Conclamabo deinde nocte servos poenam graviorem timentes praecipitasse se in mare. Deinde cum ventum fuerit in portum, sine ulla suspicione pro sarcinis vos efferam. -- Ita vero, inquam ego, tanquam solidos alligaturus, quibus non soleat venter iniuriam facere? an tanquam eos qui sternutare non soleamus nec stertere? An quia hoc genus furti semel feliciter cessit? Sed finge una die vinctos posse durare: quid ergo, si diutius aut tranquillitas nos tenuerit aut adversa tempestas? quid facturi sumus? Vestes quoque diutius vinctas ruga consumit, et chartae alligatae mutant figuram. Iuvenes adhuc laboris expertes statuarum ritu patiemur pannos et vincla? <. . .> Adhuc aliquod iter salutis quaerendum est. Inspicite quod ego inveni. Eumolpus tanquam litterarum studiosus utique atramentum habet. Hoc ergo remedio mutemus colores a capillis usque ad ungues. Ita tanquam servi Aethiopes et praesto tibi erimus sine tormentorum iniuria hilares, et permutato colore imponemus inimicis. -- Quidni? inquit Giton, etiam circumcide nos, ut Iudaei videamur, et pertunde aures, ut imitemur Arabes, et increta facies, ut suos Gallia cives putet: tanquam hic solus color figuram possit pervertere et non multa una oporteat consentiant ratione, mendacium constet. Puta infectam medicamine faciem diutius durare posse; finge nec aquae asperginem imposituram aliquam corpori maculam, nec vestem atramento adhaesuram, quod frequenter etiam non arcessito ferrumine infigitur: age, numquid et labra possumus tumore taeterrimo implere numquid et crines calamistro convertere? Numquid et frontes cicatricibus scindere? Numquid et crura in orbem pandere? Numquid et talos ad terram deducere? numquid et barbam peregrina ratione figurare? Color arte compositus inquinat corpus, non mutat. Audite, quid dementi succurrerit: praeligemus vestibus capita et nos in profundum mergamus.
 
traduzione
 
102 ?E perch?? intervenni io, ?non rischiare il tutto per tutto? Potremmo calarci con una fune in una scialuppa e, dopo aver tagliato la cima, affidarci in toto alla Fortuna. Ovvio per? che Eumolpo in un rischio del genere non lo coinvolgiamo. Che senso avrebbe infatti esporre un innocente a un pericolo che riguarda altri? Sarei gi? contento se il caso ci assistesse mentre ci caliamo con la fune?. ?Come piano non sarebbe male? osserv? Eumolpo, ?se solo lo si potesse mettere in pratica. Ma come riusciremo a svignarcela senza che nessuno si accorga di noi? Per lo meno il timoniere, visto che sta su tutta la notte e sorveglia perfino i movimenti delle stelle. Ad ogni modo, riusciremmo a fregarlo caso mai stesse dormendo, ma bisognerebbe tentare la fuga in un altro punto della nave. Solo che bisogna calarsi da poppa, dove c'? il timone, perch? ? proprio di l? che pende il cavo che tiene la scialuppa. E poi mi meraviglio, Encolpio, di come non ti sia venuto in mente che sulla barca c'? sempre un marinaio di guardia, giorno e notte, e che non ? possibile liberarsene se non eliminandolo fisicamente o scaraventandolo fuori bordo con la forza. Ma voi avreste il fegato per farlo? Per quel che poi concerne la mia partecipazione alla cosa, io non mi tiro indietro di fronte ad alcun pericolo, a patto per? che ci sia una qualche speranza di riuscita. E infatti credo che nemmeno voi abbiate intenzione di buttarvi allo sbaraglio rischiando la vita per niente. Sentite un po', invece, questa mia idea: io vi metto in due sacchi di pelle, li lego con cinghie e li metto tra i miei bagagli, lasciandone, ? ovvio, un po' aperte le estremit? perch? possiate respirare e mangiare qualcosa. Poi, nel cuore della notte, mi metto a gridare che i miei due servi, per paura di chiss? quale tremenda punizione, si sono buttati in mare. Una volta arrivati in porto, io vi scarico come se foste dei miei bagagli e senza che nessuno se ne accorga?. ?Sicch?? faccio io ?ci vorresti impacchettare come se non avessimo buchi e non ci venisse mai il mal di pancia? O come gente che non ha l'abitudine di starnutire o russare? Oppure perch? un giochetto del genere ? andato bene in un'altra occasione? Ma metti pure che noi si riesca a resistere per un'intera giornata legati in quella maniera: come andrebbe a finire se la bonaccia o una tempesta ci trattenessero in mare pi? a lungo? Che cosa potremmo fare? Anche i vestiti, a forza di stare schiacciati, finisce che fanno le pieghe, e i fogli di carta si deformano se li si lega troppo stretti. E poi, dei giovani come noi, non abituati agli strapazzi, credi che potrebbero resistere legati e impacchettati come statue?... * Niente da fare. Bisogna trovare un'altra via d'uscita. State un po' a sentire la mia di idea. Eumolpo, da buon letterato qual ?, ha sicuramente dell'inchiostro con s?. Possiamo servircene e tingerci la pelle dalla testa ai piedi. Prendendoci cos? per degli schiavi etiopi ai tuoi ordini, riusciremo a evitare allegramente ogni pericolo senza l'incubo di torture, e col diverso colore della pelle la faremo in barba ai nostri avversari?. ?Ma perch? allora? interviene Gitone ?non ci circoncidi pure, per farci sembrare dei Giudei, o non ci fai i buchi alle orecchie che ci scambino per Arabi, o non ci spalmi la faccia di gesso cos? che in Gallia ci prendano per concittadini? Come se solo un po' di colore bastasse a cambiarci i connotati, e non ci fosse bisogno di tutta una serie di accorgimenti perch? il giochetto funzioni. Mettiamo pure che la tintura sulla faccia possa resistere a lungo. E supponiamo anche che qualche spruzzo d'acqua non ci riempia la pelle di macchie, o che i vestiti non si attacchino all'inchiostro (cosa questa possibilissima, anche nei casi in cui non c'? la colla), ma con le labbra come la mettiamo? Non possiamo mica deformarle gonfiandole in quell'orrenda maniera. E i capelli? Li arricciamo col ferro caldo? E la fronte? Ce la riempiamo di cicatrici apposta? E le gambe? Le facciamo diventare arcuate? Ci mettiamo a camminare coi piedi piatti? E la barba? Ce la facciamo crescere come quelli l? in Etiopia? La tintura artefatta ti sporca il corpo, ma non te lo cambia. Sentite un po' che cosa mi suggerisce la paura: tiriamoci i vestiti sulla testa e buttiamoci in mare?.
 

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