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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Petronio
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Satiricon, 108
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originale
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[CVIII] Obstupueram ego supplicii metu pavidus, nec qui in re manifestissima dicerem inveniebam, turbatus <. . .> et deformis praeter spoliati capitis dedecus superciliorum etiam aequalis cum fronte calvities, ut nihil nec facere deceret nec dicere. Vt vero spongia uda facies plorantis detersa est, et liquefactum per totum os atramentum omnia scilicet lineamenta fuliginea nube confudit, in odium se ira convertit. Negat Eumolpus passurum se ut quisquam ingenuos contra fas legemque contaminet, interpellatque saevientium minas non solum voce sed etiam manibus. Aderat interpellanti mercennarius comes et unus alterque infirmissimus vector, solacia magis litis quam virium auxilia. Nec quicquam pro me deprecabar, sed intentans in oculos Tryphaenae manus usurum me viribus meis clara liberaque voce clamavi, ni abstineret a Gitone iniuriam mulier damnata et in toto navigio sola verberanda. Accenditur audacia mea iratior Lichas, indignaturque quod ego relicta mea causa tantum pro alio clamo. Nec minus Tryphaena contumelia saevit accensa, totiusque navigii turbam diducit in partes. Hinc mercennarius tonsor ferramenta sua nobis et ipse armatus distribuit, illinc Tryphaenae familia nudas expedit manus, ac ne ancillarum quidem clamor aciem destituit, uno tantum gubernatore relicturum se navis ministerium denuntiante, si non desinat rabies libidine perditorum collecta. Nihilo minus tamen perseverat dimicantium furor, illis pro ultione, nobis pro vita pugnantibus. Multi ergo utrinque sine morte labuntur, plures cruenti vulneribus referunt veluti ex proelio pedem, nec tamen cuiusquam ira laxatur. Tunc fortissimus Giton ad virilia sua admovit novaculam infestam, minatus se adbscissurum tot miseriarum causam, inhibuitque Tryphaena tam grande facinus non dissimulata missione. Saepius ego cultrum tonsorium super iugulum meum posui, non magis me occisurus quam Giton, quod minabatur, facturus. Audacius tamen ille tragoediam implebat, quia sciebat se illam habere novaculam, qua iam sibi cervicem praeciderat. Stante ergo utraque acie, cum appareret futurum non tralaticium bellum, aegre expugnavit gubernator ut caduceatoris more Tryphaena indutias faceret. Data ergo acceptaque ex more patrio fide, protendit ramum oleae a Tutela navigii raptum, atque in colloquium venire ausa:
"Quis furor, exclamat, pacem convertit in arma?
Quid nostrae meruere manus? Non Troius heros
hac in classe vehit decepti pignus Atridae,
nec Medea furens fraterno sanguine pugnat,
sed contemptus amor vires habet. Ei mihi, fata
hos inter fluctus quis raptis evocat armis?
Cui non est mors una satis? Ne vincite pontum
gurgitibusque feris alios immittite fluctus."
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traduzione
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108 Terrorizzato all'idea della punizione, io me ne stavo l? imbambolato e, confuso com'ero di fronte all'evidenza dei fatti, non sapevo cosa ribattere... e oltretutto la vergogna di avere la testa rapata e la fronte liscia per la mancanza di sopracciglia mi impediva di dire e di fare qualunque cosa. Ma quando poi presero a strofinarmi con una spugna bagnata la faccia rigata dalle lacrime, e l'inchiostro, colando da ogni parte, mi trasform? il viso in un mascherone nero, allora la rabbia si convert? in odio. Eumolpo protestava che non avrebbe permesso a nessuno di infierire in quella maniera, andando contro le leggi della morale, dei giovani di buona famiglia, e cercava di opporsi alle minacce di quelle belve inferocite non solo con le parole ma anche ricorrendo all'uso delle mani. In questa sua fiera opposizione lo spalleggiavano il servo e un paio di passeggeri che per?, malmessi com'erano, costituivano un conforto verbale pi? che un aiuto fisico. Io invece non sto a implorare nulla per me stesso ma, mostrando i pugni a Trifena, mi metto a gridare a squarciagola che sarei ricorso alla violenza se lei, quella stramaledetta femmina che l? sulla nave era l'unica a dover essere presa a nerbate, non avesse smesso di tormentare Gitone. Ma Lica, indispettito da quella mia impudente uscita, perde la tramontana, vedendo che, invece di pensare alla mia situazione, son l? che sbraito tanto per un altro. Anche Trifena, toccata nel vivo dalle mie frecciate, si scatena di brutto, e tutta la ciurma comincia a dividersi in due schiere. Da una parte il servo-barbiere ci distribuisce i suoi rasoi armandosi anche lui; dall'altra i servi di Trifena ci mostrano i pugni, mentre anche le ancelle partecipano allo scontro strillando a pi? non posso. Soltanto il timoniere dichiara che avrebbe lasciato andare la nave alla deriva, se non cessava la gazzarra provocata dalla foia di quei depravati. Ci? nonostante il furore dei duellanti non accenna a placarsi, decisi com'erano quelli a vendicarsi, e noi a salvare la pelle. Sia di qui che di l? ne andarono al tappeto parecchi, anche se nessuno ci lasci? le penne, mentre in molti abbandonarono sanguinanti lo scontro, proprio come in una battaglia vera, senza che per? a nessuno si placassero i bollenti spiriti. Allora Gitone, coraggiosissimo, si accost? il rasoio funesto alle parti basse, minacciando di tagliar via la causa di tutti quei guai. Ma Trifena si butt? a impedire un delitto tanto grave, mostrandosi per? disposta al perdono. Allora anch'io mi accostai numerose volte il rasoio alla gola, deciso per? a togliermi la vita tanto quanto Gitone lo era di mettere in pratica il suo di proposito. Lui per? recitava la scenetta tragica con maggiore convinzione, perch? sapeva di avere in mano proprio il rasoio col quale si era gi? in precedenza tagliato il collo. Quando fu chiaro che, stando cos? le cose da entrambe le parti, quella non sarebbe stata una scaramuccia delle solite, il timoniere ottenne non senza sforzi che Trifena, in qualit? di mediatrice, proponesse una tregua. Dopo esserci cos? scambiati i giuramenti secondo la consuetudine dei nostri padri, Trifena avanza con in mano un ramo d'olivo tolto al dio protettore della nave, e coraggiosamente si fa avanti a parlamentare:
?Quale furore trasforma la pace in guerra?
Che colpa scontano le nostre truppe? Su questa nave
l'eroe troiano non conduce seco
il pegno sottratto all'Atride ingannato;
qui Medea non combatte furiosa per mezzo del sangue fraterno,
ma l'amore spregiato schiera le sue milizie. Ahim?,
chi impugnando le armi desidera affrettare la sorte?
Una morte non ? gi? abbastanza? Non vincete per furia
il mare, altri flutti di sangue non date ai gorghi selvaggi?.
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