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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Petronio
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Satiricon, 113
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originale
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[CXIII] Risu excepere fabulam nautae, erubescente non mediocriter Tryphaena vultumque suum super cervicem Gitonis amabiliter ponente. At non Lichas risit, sed iratum commovens caput: "Si iustus, inquit, imperator fuisset, debuit patris familiae corpus in monumentum referre, mulierem affigere cruci". Non dubie redierat in animum Hedyle expilatumque libidinosa migratione navigium. Sed nec foederis verba permittebant meminisse, nec hilaritas, quae occupaverat mentes, dabat iracundiae locum. Ceterum Tryphaena in gremio Gitonis posita modo implebat osculi pectus, interdum concinnabat spoliatum crinibus vultum. Ego maestus et impatiens foederis novi non cibum, non potionem capiebam, sed obliquis trucibusque oculis utrumque spectabam. Omnia me oscula vulnerabant, omnes blanditiae, quascunque mulier libidinosa fingebat. Nec tamen adhuc sciebam, utrum magis puero irascerer, quod amicam mihi auferret, an amicae, quod puerum corrumperet: utraque inimicissima oculis meis et captivitate praeterita tristiora. Accedebat huc, quod neque Tryphaena me alloquebatur tanquam familiarem et aliquando gratum sibi amatorem, nec Giton me aut tralaticia propinatione dignum iudicabat, aut, quod minimum est, sermone communi vocabat, credo, veritus ne inter initia coeuntis gratiae recentem cicatricem rescinderet. Inundavere pectus lacrimae dolore paratae, gemitusque suspirio tectus animam paene submovit. <. . .>
In partem voluptatis temptabat admitti, nec domini supercilium induebat, sed amici quaerebat obsequium.
ANCILLA TRYPHAENAE AD ENCOLPIUM: "Si quid ingenui sanguinis habes, non pluris illam facies, quam scortum. Si vir fueris, non ibis ad spintriam". <. . .>
Me nihil magis pudebat, quam ne Eumolpus sensisset quidquid illud fuerat, et homo dicacissimus carminibus vindicaret. <. . .>
Iurat verbis Eumolpus conceptissimis. <. . .>
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traduzione
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113 I marinai accolsero il racconto con una bella risata, mentre Trifena, tutta rossa dalla vergogna, nascose la faccia sul collo di Gitone con un gesto pieno di grazia. Non rise invece Lica che, scuotendo stizzito il capo, disse: ?Se il governatore avesse agito secondo giustizia, avrebbe dovuto far riportare nel sepolcro la salma del marito e far crocifiggere la donna?.
? chiaro che gli era venuta in mente Edile e il caos scoppiato a bordo durante quel viaggio tutto a base di sesso. Solo che i termini del trattato non ammettevano i brutti ricordi, e l'allegria che aveva ormai contagiato tutti non lasciava spazio al risentimento. Trifena, nel mentre, seduta com'era in grembo a Gitone, un po' gli copriva di baci il petto e un po' gli rimetteva a posto le ciocche della parrucca sulla fronte pelata. Quanto a me, avvilito e insofferente di fronte a quel nuovo sodalizio, non toccavo n? cibo n? vino, limitandomi a tirare occhiate torve e minacciose a quei due. A farmi male dentro erano tutte le carezze e tutti i baci che quella viziosa riusciva a inventare. In quel momento non sapevo con chi prendermela di pi?: se con il ragazzino che mi portava via la tipa, o con la tipa che si stava circuendo il ragazzino: ai miei occhi entrambe le cose erano insopportabili e ben pi? gravose della prigionia di prima. A tutto questo si aggiungeva poi il fatto che Trifena mi si rivolgeva come se non fossi mai stato uno del gruppo oltre che il suo gradito amante di un tempo, e Gitone non mi riteneva degno nemmeno del tradizionale bicchierino, n? - il che ? il minimo -, mi coinvolgeva nella normale conversazione, immagino per paura di riaprire una ferita nel cuore della donna, proprio adesso che la riconciliazione si era avviata. Fu cos? che il petto mi si inond? di lacrime di dolore, e i gemiti soffocati dai singhiozzi per poco non mi fecero soffocare.
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Lica cercava anche lui di spassarsela un po', senza per? avere pi? quel suo tono da padrone, ma con il sorriso di un amico che chiede un favore.
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L'ANCELLA DI TRIFENA A ENCOLPIO. ?Se solo ti resta un po' di sangue libero nelle vene, allora quella l? non considerarla pi? di una baldracca. Se sei un uomo vero, gira alla larga da quella rotta in culo?.
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Quello di cui mi vergognavo di pi? era che Eumolpo venisse a sapere quanto era successo e, pettegolo com'era nella sua insolenza, si vendicasse con qualcuno dei suoi versi.
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Eumolpo allora giur? con formule solenni.
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