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Ovidio


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autore
brano
 
Petronio
Satiricon, 124
 
originale
 
[CXXIV] "Ergo tanta lues divum quoque numina vidit consensitque fugae caeli timor. Ecce per orbem mitis turba deum terras exosa furentes deserit, atque hominum damnatum avertitur agmen. Pax prima ante alias niveos pulsata lacertos abscondit galea victum caput, atque relicto orbe fugax Ditis petit implacabile regnum. Huic comes it submissa Fides, et crine soluto Iustitia, ac maerens lacera Concordia palla. At contra, sedes Erebi qua rupta dehiscit, emergit late Ditis chorus, horrida Erinys, et Bellona minax, facibusque armata Megaera, Letumque, Insidiaeque, et lurida Mortis imago. Quas inter Furor, abruptis ceu liber habenis, sanguineum late tollit caput, oraque mille vulneribus confossa cruenta casside velat; haeret detritus laevae Mavortius umbo innumerabilibus telis gravis, atque flagranti stipite dextra minax terris incendia portat. Sentit terra deos, mutataque sidera pondus quaesivere suum; namque omnis regia caeli in partes diducta ruit. Primumque Dione Caesaris acta sui ducit, comes additur illi Pallas, et ingentem quatiens Mavortius hastam. Magnum cum Phoebo soror et Cyllenia proles excipit, ac totis similis Tirynthius actis. Intremuere tubae, ac scisso Discordia crine extulit ad superos Stygium caput. Huius in ore concretus sanguis, contusaque lumina flebant, stabant aerati scabra rubigine dentes, tabo lingua fluens, obsessa draconibus ora, atque inter torto laceratam pectore vestem sanguineam tremula quatiebat lampada dextra. Haec ut Cocyti tenebras et Tartara liquit, alta petit gradiens iuga nobilis Appennini, unde omnes terras atque omnia litora posset aspicere ac toto fluitantes orbe catervas, atque has erumpit furibundo pectore voces: 'Sumite nunc gentes accensis mentibus arma, sumite et in medias immittite lampadas urbes. Vincetur, quicumque latet; non femina cesset, non puer aut aevo iam desolata senectus; ipsa tremat tellus lacerataque tecta rebellent. Tu legem, Marcelle, tene. Tu concute plebem, Curio. Tu fortem ne supprime, Lentule, Martem. Quid porro tu, dive, tuis cunctaris in armis, non frangis portas, non muris oppida solvis thesaurosque rapis? Nescis tu, Magne, tueri Romanas arces? Epidamni moenia quaere, Thessalicosque sinus humano sanguine tingue.' "Factum est in terris quicquid Discordia iussit." Cum haec Eumolpos ingenti volubilitate verborum effudisset, tandem Crotona intravimus. Vbi quidem parvo deversorio refecti, postero die amplioris fortunae domum quaerentes incidimus in turbam heredipetarum sciscitantium quod genus hominum. aut unde veniremus. Ex praescripto ergo consilii communis exaggerata verborum volubilitate, unde aut qui essemus haud dubie credentibus indicavimus. Qui statim opes suas summo cum certamine in Eumolpium congesserunt. <. . .>
 
traduzione
 
124 Allora l'immane contagio colpisce anche gli d?i. E il cielo stesso fugge impaurito. Ed ecco che la mite schiera dei numi abbandona sdegnata la terra impazzita, lasciandosi dietro le spalle la folla dannata dei mortali. Agitando le sue candide braccia, prima fra tutti la Pace nasconde nell'elmo il capo sconfitto, e in fuga abbandona la terra, riparando nel regno implacabile di Dite. L'accompagna dimessa la Fede e sciolte le chiome la Giustizia, e in lacrime la Concordia col mantello a brani. Ma l? dove s'apre squarciata la sede dell'Erebo, sale in massa la schiera di Dite, l'orrida Erinni, l'inquietante Bellona, e Megera armata di faci, e Leto, e i Tradimenti e lo squallido fantasma della Morte. In mezzo c'? il Furore che impazza con le redini infrante, e il capo cruento solleva, coprendo con l'elmo cruento il viso scavato da mille ferite. Nella sinistra regge il logoro scudo di Marte, greve per gli infiniti dardi, e impugna la destra minacciosa un tronco in fiamme a spargere incendi nel mondo. Sente gli d?i la terra, e gli astri cercano il peso di un tempo nell'ordine sconvolto, perch? tutta la reggia del cielo si affretta a spaccarsi in due parti. Dione ? la prima a sorreggere le armi di Cesare amato, e Pallade le ? vicina, e insieme va Marte, che vibra l'immensa sua asta. Con il Grande si schierano invece Febo e la sorella e la prole Cillenia, e il dio di Tirinto che in tutto l'eguaglia. Squillarono le trombe e su dallo Stige Discordia coi crini discinti alta lev? la sua testa d'inferno. In bocca il sangue ? un grumo e piangono lividi gli occhi, i denti li incrostava una ruggine scabra, ? marcia la lingua, avvolta di serpi la faccia, il petto stretto in una lacera veste, mentre la destra tremante brandiva una torcia con bagliori di sangue. Com'ella lasci? il Tartaro e il Cocito avvolto nell'ombra, con passi possenti raggiunge i gioghi del fiero Appennino, di dove scrutare potesse tutte le terre e i lidi e ovunque nel mondo brulicanti le caterve di armati, e cotali parole riversa dal petto in fermento: "Prendete o genti le armi, infiammatevi d'odio e gettate con forza le torce nel cuore delle citt?! Chi si cela cadr?: non rifiuti lo scontro la donna, non fanciullo, non vecchio, se pure prostrato dagli anni, ma tremi la terra stessa e insorgano i tetti in rovina. Tu Marcello difendi la legge. Tu Curione aizza la plebe. Non frenare, tu Lentulo, l'infuriare di Marte. Ma perch? dunque, tu figlio di d?i, tanto indugi nell'armi, e non schianti le porte e non spezzi i bastioni ai castelli, e tesori non strappi? E tu, o Grande, non sai proteggere le rocche di Roma? Rif?giati dentro Epidamno, e con sangue di uomo tingi i tessali golfi!". E sulla terra accadde ci? che Discordia volle?. * E mentre Eumolpo terminava con grande scioltezza di lingua la sua tirata in versi, finalmente entrammo a Crotone. Qui, dopo esserci rimessi un po' in sesto in un alberghetto, il giorno seguente, mentre ci stavamo cercando una sistemazione un po' pi? decorosa, ci imbattemmo in un gruppo di cacciatori di eredit?, che ci chiesero chi fossimo e da dove venivamo. Attenendoci a quanto concertato nel piano, rispondemmo rifilando loro un sacco di frottole, riuscendo tranquillamente a convincerli sulla nostra identit? e sulla nostra provenienza. E tra di loro fu subito una lotta accanita per mettere a disposizione di Eumolpo i propri beni. * Tutti quei cacciatori di eredit? facevano a gara a colpi di regali per conquistarsi la simpatia di Eumolpo. *
 

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