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Ovidio


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autore
brano
 
Petronio
Satiricon, 134
 
originale
 
[CXXXIV] PROSELENOS ANVS AD ENCOLPIVM: "Quae striges comederunt nervos tuos, aut quod purgamentum nocte calcasti trivio aut cadaver? Nec a puero quidem te vindicasti, sed mollis, debilis, lassus, tanquam caballus in clivo et operam et sudorem perdidisti. Nec contentus ipse peccare, mihi deos iratos excitasti". Ac me iterum in cellam sacerdotis nihil recusantem perduxit impulitque super lectum, et harundinem ab ostio rapuit iterumque nihil respondentem mulcavit. Ac nisi primo ictu harundo quassata impetum verberantis minuisset, forsitan etiam brachia mea caputque fregisset. Ingemui ego utique propter mascarpionem, lacrimisque ubertim manantibus obscuratum dextra caput super pulvinum inclinavi. Nec minus illa fletu confusa altera parte lectuli sedit aetatisque longae moram tremulis vocibus coepit accusare, donec intervenit sacerdos: "Quid vos, inquit, in cellam meam tanquam ante recens bustum venistis? Vtique die feriarum, quo etiam lugentes rident." PROSELENOS AD OENOTHEAN SACERDOTEM PRIAPI: "O, inquit, Oenothea, hunc adulescentem quem vides, malo astro natus est; nam neque puero neque puellae bona sua vendere potest. Nunquam tu hominem tam infelicem vidisti: lorum in aqua, non inguina habet. Ad summam, qualem putas esse, qui de Circes toro sine voluptate surrexit?" His auditis Oenothea inter utrumque consedit, motoque diutius capite: "Istum, inquit, morbum sola sum quae emendare scio. Et ne putetis perplexe agere, rogo ut adulescentulus tuus mecum nocte dormiat, nisi illud tam rigidum reddidero quam cornu: Quicquid in orbe vides, paret mihi. Florida tellus, cum volo, spissatis arescit languida sucis, cum volo, fundit opes, scopulique atque horrida saxa Niliacas iaculantur aquas. Mihi pontus inertes submittit fluctus, zephyrique tacentia ponunt ante meos sua flabra pedes. Mihi flumina parent Hyrcanaeque tigres et iussi stare dracones. Quid leviora loquor? Lunae descendit imago carminibus deducta meis, trepidusque furentes flectere Phoebus equos revoluto cogitur orbe. Tantum dicta valent. Taurorum flamma quiescit virgineis extincta sacris, Phoebeia Circe carminibus magicis socios mutavit Vlixis, Proteus esse solet quicquid libet. Hic ego callens artibus Idaeos frutices in gurgite sistam, et rursus fluvios in summo vertice ponam."
 
traduzione
 
134 LA VECCHIA PROSELENO A ENCOLPIO. ?Che razza di streghe ti hanno mangiato i nervi, o quale schifezza o cadavere hai calpestato nel cuor della notte a un crocicchio? Nemmeno con il ragazzo sei riuscito a rifarti ma, molle, fiacco e scoppiato come un ronzino in salita, ci hai rimesso soltanto fatica e sudore. E non contento di essere gi? tu in peccato, hai messo gli d?i anche contro di me?. * E poi, senza che io facessi alcuna resistenza, mi trascin? di nuovo nella cella della sacerdotessa, mi cacci? sul letto e, dopo aver afferrato una canna dietro la porta, cominci? a darmele di santa ragione, senza che io avessi il coraggio di reagire. E se la canna non si fosse rotta quasi subito, diminuendo cos? la violenza dei colpi, probabilmente quella mi avrebbe fratturato testa e braccia. A piagnucolare cominciai invece quando lei si mise a trafficare con l'arnese e, mentre le lacrime mi rigavano il volto, caddi riverso sul cuscino nascondendomi la faccia con la destra. Allora anche la vecchia scoppi? a piangere e, sedutasi sull'altra sponda del letto, cominci? a lamentarsi, con voce tremula, di quanto le pesassero tutti i suoi anni, finch? non intervenne la sacerdotessa: ?Che ci fate voialtri? ci invest?, ?qui nella mia cella? Non l'avrete mica presa per una tomba ancora fresca? E per giunta in un giorno festivo, quando ride anche chi dovrebbe piangere??. * PROSELENO AD ENOTEA, SACERDOTESSA DI PRIAPO ?O Enotea? le si rivolse la vecchia, ?questo giovanotto qui ? nato davvero sotto una cattiva stella: figurati che non riesce a piazzare la sua mercanzia n? agli uomini n? alle donne. Un disgraziato come questo non l'hai mai visto: al posto dell'affare l? sotto, ci ha un'anguilla marinata. Per fartela breve, che cosa mi dici di uno che si ? alzato dal letto di Circe senza aver goduto??. Udite queste parole, Enotea prese posto in mezzo a noi e, dopo aver scosso per un bel po' la testa, disse: ?Io sono l'unica che pu? guarirlo da questa malattia: e per dimostrarvi che non parlo a vanvera, chiedo che questo tuo giovanotto dorma con me una notte, e poi vediamo se non glielo faccio ritornare duro come un corno: Tutto ci? che vedi al mondo, mi si inchina. La florida terra se voglio la faccio languire arida, con tutte le linfe essiccate, se voglio, lei spande i suoi beni e rocce selvagge e macigni eruttano acque del Nilo. A me il mare sottomette gli inerti marosi, e innanzi ai miei piedi gli zefiri fermano taciti i soffi. A me obbediscono i fiumi, le tigri d'Ircania, e i draghi immobili a un cenno. Perch? mai parlare di cose da nulla? La mia voce d'incanto fa scendere dal cielo la Luna, e Febo sgomento costringo a mutare il suo corso, volgendo a ritroso i suoi bai furibondi. A tanto giungono gli scongiuri. L'ardore dei tori si placa, bloccato da riti di vergine, con magici filtri la figlia di Febo che ? Circe trasforma i compagni di Ulisse, e Proteo assume l'aspetto che vuole. Esperta ch'io sono in quest'arte, sul fondo dei mari trapianto i boschi dell'Ida, e l'acqua dei fiumi sospingo alle vette pi? alte.
 

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