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Ovidio


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autore
brano
 
Petronio
Satiricon, 135
 
originale
 
[CXXXV] lnhorrui ego tam fabulosa pollicitatione conterritus, anumque inspicere diligentius coepi. "Ergo, exclamat Oenothea, imperio parete!" detersisque curiose manibus inclinavit se in lectulum ac me semel iterumque basiavit. <. . .> Oenothea mensam veterem posuit in medio altari, quam vivis implevit carbonibus, et camellam etiam vetustate ruptam pice temperata refecit. Tum clavum, qui detrahentem secutus cum camella lignea fuerat, fumoso parieti reddidit. Mox incincta quadrato pallio cucumam ingentem foco apposuit, simulque pannum de carnario detulit furca, in quo faba erat ad usum reposita et sincipitis vetustissima particula mille plagis dolata. Vt soluit ergo licio pannum, partem leguminis super mensam effudit iussitque me diligenter purgare. Servio ego imperio, granaque sordidissimis putaminibus vestita curiosa manu segrego. At illa inertiam meam accusans improba tollit, dentibusque folliculos pariter spoliat, atque in terram veluti muscarum imagines despuit. Mirabar equidem paupertatis ingenium singularumque rerum quasdam artes: Non Indum fulgebat ebur, quod inhaeserat auro, nec iam calcato radiabat marmore terra muneribus delusa suis, sed crate saligna impositum Cereris vacuae nemus et nova terrae pocula, quae facili vilis rota finxerat actu. Hinc molli stillae lacus et de caudice lento vimineae lances maculataque testa Lyaeo. At paries circa palea satiatus inani fortuitoque luto clavos numerabat agrestis, et viridi iunco gracilis pendebat harundo. Praeterea quae fumoso suspensa tigillo conservabat opes humilis casa, mitia sorba inter odoratas pendebat texta coronas et thymbrae veteres et passis uva racemis: qualis in Actaea quondam fuit hospita terra, digna sacris Hecales, quam Musa loquentibus annis Baccineas veteres mirando tradidit aevo.
 
traduzione
 
135 Rabbrividii atterrito da tutte quelle incredibili promesse e cominciai a osservare con maggiore attenzione la vecchia. * ?Avanti? esclama Enotea, ?eseguite i miei ordini!?... * e dopo essersi lavata con cura le mani, si chin? sul letto e mi baci? due volte... * Enotea piazz? una vecchia tavola in mezzo all'altare, ci sistem? sopra dei carboni ardenti, e quindi, dopo aver sciolto un po' di pece, ripar? una vecchia scodella tutta forata. Poi riattacc? alla parete affumicata il chiodo che era venuto gi? mentre prendeva la ciotola di legno. Quindi, dopo essersi legata ai fianchi un grembiule quadrato e aver sistemato sul fuoco una grossa pentola, servendosi di un forchettone tir? gi? dalla dispensa un sacchetto con dentro delle fave pronte per l'uso e una testina di maiale gi? tutta rosicchiata. Aperto il sacco, distribu? sulla tavola una parte delle fave e mi intim? di pulirle per bene. Io le obbedisco e, mettendoci dell'impegno, comincio col mettere da parte quelle che dalla buccia sembravano ammuffite. Ma lei, dandomi del buono a nulla, raccoglie quella robaccia e, strappandone le bucce con i denti, le sputa per terra, che sembravano tante mosche. * Dal canto mio, ero sbalordito al vedere quanto la povert? aguzzi l'ingegno e come ogni singolo aspetto possa esser sfruttato col senso pratico: L'avorio dell'India non splendeva montato nell'oro, n? di lastrici in marmo pregiato brillava la terra privata dei suoi tesori, ma solo una stuoia di salice e fasci di povera paglia, e tazze ancor fresche d'argilla, che un ruvido tornio aveva forgiato alla buona. Per l'acqua un catino, e ceste di vimini appese a un ramo flessuoso, e un'anfora sporca di vino. E al muro l? intorno di paglia e di fango commesso infissi vedevi dei rustici chiodi, e appesa a un giunco nel pieno del verde un'esile canna. Inoltre da un trave fumoso dell'umile casa pendevan le scorte, e dolci sorbe oscillavano in trecce odorose intrecciate, e santoreggia lasciata invecchiare, e grappoli d'uva passita. Al pari ospitale fu un giorno la casa d'Ecale nell'Attica, degna di culti sacrali, che il verso del vecchio Battiade a noi nel memore corso degli anni trasmise a un'et? che sapesse ammirarlo. *
 

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