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brano
 
Cicerone
De Natura Deorum, II, 93
 
originale
 
[93] Hic ego non mirer esse quemquam, qui sibi persuadeat corpora quaedam solida atque individua vi et gravitate ferri mundumque effici ornatissimum et pulcherrimum ex eorum corporum concursione fortuita? Hoc qui existimat fieri potuisse, non intellego, cur non idem putet, si innumerabiles unius et viginti formae litterarum vel aureae vel qualeslibet aliquo coiciantur, posse ex is in terram excussis annales Enni, ut deinceps legi possint, effici; quod nescio an ne in uno quidem versu possit tantum valere fortuna.
 
traduzione
 
93. Come non provare meraviglia, a questo punto, se qualcuno ritiene che corpi solidi ed indivisibili siano trascinati dalla forza del loro peso e che dalla loro fortuita unione sia derivato il mondo con tutti i suoi splendori e le sue bellezze? Chi fosse disposto ad ammettere una cosa del genere non vedo perch? non dovrebbe anche ritenere che, se si raccogliessero da qualche parte in un numero molto elevato di esemplari le ventuno lettere dell'alfabeto foggiate in oro od in altro materiale e le si gettassero a tetra dovrebbero ricostituirsi tutti gli Annali di Ennio ormai pronti per la lettura: un risultato che il caso non riuscirebbe forse a realizzare neppure limitatamente ad un solo verso!
 

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