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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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De Natura Deorum, II, 96
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originale
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[96] Atque haec quidem ille; nos autem tenebras cogitemus tantas, quantae quondam eruptione Aetnaeorum ignium finitimas regiones obscuravisse dicuntur, ut per biduum nemo hominem homo agnosceret, cum autem tertio die sol inluxisset, tum ut revixisse sibi viderentur: quod si hoc idem ex aeternis tenebris contingeret, ut subito lucem aspiceremus, quaenam species caeli videretur? Sed adsiduitate cotidiana et consuetudine oculorum adsuescunt animi neque admirantur neque requirunt rationes earum rerum, quas semper vident, proinde quasi novitas nos magis quam magnitudo rerum debeat ad exquirendas causas excitare.
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traduzione
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96. Queste le parole di Aristotele. Ma noi possiamo anche ricordare le profonde tenebre che avvolsero un tempo
le regioni limitrofe durante una violenta eruzione dell'Etna, tenebre tanto fitte che per due giorni nessuno fu in grado di
riconoscere un suo simile. Quando per? il terzo giorno torn? a risplendere il sole a tutti parve di essere di nuovo
ritornati alla vita. Dal che ? agevole comprendere quale sarebbe per noi lo spettacolo della volta celeste se ci accadesse
di vedere improvvisamente la luce dopo essere stati sempre immersi nelle tenebre. Sennonch? il nostro spirito, in
seguito all'uso costante e quotidiano della vista, finisce coll'assuefarsi a ci? che vede ogni giorno, col non provarne pi?
alcuna meraviglia e col non sentire pi? il bisogno di cercarne una spiegazione quasi che a stimolare tale ricerca non
dovesse essere l'importanza dei fenomeni ma solo la loro novit
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