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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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De Natura Deorum, II, 118
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originale
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[118] Sunt autem stellae natura flammeae; quocirca terrae maris aquarum[que reliquarum] vaporibus aluntur is, qui a sole ex agris tepefactis et ex aquis excitantur; quibus altae renovataeque stellae atque omnis aether effundunt eadem et rursum trahunt indidem, nihil ut fere intereat aut admodum paululum, quod astrorum ignis et aetheris flamma consumat. Ex quo eventurum nostri putant id, de quo Panaetium addubitare dicebant, ut ad extremum omnis mundus ignesceret, cum umore consumpto neque terra ali posset nec remearet aer, cuius ortus aqua omni exhausta esse non posset: ita relinqui nihil praeter ignem, a quo rursum animante ac deo renovatio mundi fieret atque idem ornatus oreretur.
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traduzione
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118. Le stelle sono di sostanza ignea; per questo sono alimentate dai vapori della terra, del mare e delle altre acque che si levano per effetto del sole dai campi intiepiditi e dalle acque; nutriti e rinnovati da questi vapori, le stelle e l'etere tutto li effondono e di nuovo li traggono dalla medesima fonte, sicch? quasi nulla si perde, o solo una piccolissima parte, consumata dal fuoco degli astri e dalla fiamma dell'etere. Da questo fatto i nostri traggono la convinzione, di cui si diceva che Panezio dubitasse, che alla fine ci sarebbe stata la conflagrazione del mondo intero, quando, esaurita l'umidit?, la terra non potrebbe essere alimentata n? l'aria potrebbe ritornare al cielo, perch? sarebbe incapace di levarsi a causa dell'esaurimento dell'acqua: cos? non rimarrebbe niente oltre il fuoco, grazie al quale, in quanto vivente e divino, ci sarebbe la palingenesi del mondo e si originerebbe di nuovo lo stesso sistema.
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