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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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De Natura Deorum, II, 142
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originale
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[142] Quis vero opifex praeter naturam, qua nihil potest esse callidius, tantam sollertiam persequi potuisset in sensibus? Quae primum oculos membranis tenuissimis vestivit et saepsit; quas perlucidas fecit, ut per eas cerni posset, firmas autem, ut continerentur. Sed lubricos oculos fecit et mobiles, ut et declinarent, si quid noceret, et aspectum, quo vellent, facile converterent; aciesque ipsa, qua cernimus, quae pupula vocatur, ita parva est, ut ea, quae nocere possint, facile vitet; palpebraeque quae sunt tegmenta oculorum, mollissimae, tactune laederent aciem, aptissime factae et ad claudendas pupulas, ne quid incideret, et ad aperiendas, idque providit ut identidem fieri posset cum maxima celeritate.
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traduzione
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142. Quale artista, al di fuori della natura, insuperabile nella sua perspicacia, avrebbe potuto porte tanta diligenza
nella costruzione degli organi di senso? Innanzitutto ha rivestito e ricoperto gli occhi di membrane sottilissime,
trasparenti e resistenti ad un tempo, s? da permettere alle immagini di filtrare e di fornire agli occhi un solido
rivestimento.
Gli occhi poi li ha costruiti mobili e scorrevoli per far s? che essi potessero liberarsi di ogni dannosa intrusione e
volgersi facilmente dove volessero. Quanto all'organo della visione vero e proprio, che chiamano pupilla, ? cos? piccolo
che riesce ad evitare ogni particella nociva; analogamente le palpebre, che fungono da copertura degli occhi e che,
grazie alla loro estrema morbidezza avvertibile al tatto, non recano alla pupilla alcun danno, sono state assai
opportunamente adibite alla funzione di chiudere e di riaprire gli occhi e di impedire cos? che possano penetrarvi
particelle estranee e si ? altres? provveduto che questa operazione possa avvenire continuamente e con la massima
celerit
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