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autore
brano
 
Cicerone
De Natura Deorum, II, 153
 
originale
 
[153] Quid vero hominum ratio non in caelum usque penetravit? Soli enim ex animantibus nos astrorum ortus, obitus cursusque cognovimus, ab hominum genere finitus est dies, mensis, annus, defectiones solis et lunae cognitae praedictaeque in omne posterum tempus, quae, quantae, quando futurae sint. Quae contuens animus accedit ad cognitionem deorum, e qua oritur pietas, cui coniuncta iustitia est reliquaeque virtutes, e quibus vita beata exsistit par et similis deorum, nulla alia re nisi immortalitate, quae nihil ad bene vivendum pertinet, cedens caelestibus. Quibus rebus eitis satis docuisse videor, hominis natura quanto omnis anteiret animantes. Ex quo debet intellegi nec figuram situmque membrorum nec ingenii mentisque vim talem effici potuisse fortuna.
 
traduzione
 
153. E che dire della facolt? razionale dell'uomo? Non si ? forse spinta sino al cielo? Soli fra gli esseri dotati di vita siamo riusciti a conoscere il corso degli astri, il loro sorgere ed il loro tramontare. Sono stati gli uomini a definire la durata del giorno, del mese, dell'anno ed a conoscere le eclissi dei sole e della luna riuscendo a predire per tutto il tempo avvenire il loro numero e la data esatta di ciascuna. Partendo dalla contemplazione di questi fenomeni l'animo dell'uomo finisce per accostarsi alla cognizione degli d?i fonte della piet? e, insieme, della giustizia e di tutte le altre virt? dalle quali deriva all'uomo una felicit? pari e simile a quella degli d?i ed inferiore a quella per la sola mancanza del dono dell'immortalit?: ma l'immortalit? nulla ha a che fare con una vita virtuosa. Con questa mia esposizione mi sembra di aver sufficientemente chiarito la superiorit? dell'umana natura rispetto agli altri animali s? che dovrebbe ormai risultare chiaro che n? la struttura e la conformazione delle membra n? la nativa facolt? del pensiero possono essersi costituite per puro caso.
 

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