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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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De Natura Deorum, II, 159
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originale
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[159] Quid de bubus loquar; quorum ipsa terga declarant non esse se ad onus accipiendum figurata, cervices autem natae ad iugum, tum vires umerorum et latitudines ad aratra ?extrahenda. Quibus cum terrae subigerentur fissione glebarum, ab illo aureo genere, ut poetae loquuntur, vis nulla umquam adferebatur:
'Ferrea tum vero proles exorta repentest
ausaque funestum primast fabricarier ensem
et gustare manu iunctum domitumque iuvencum':
tanta putabatur utilitas percipi e bubus, ut eorum visceribus vesci scelus haberetur. Longum est mulorum persequi utilitates et asinorum, quae certe ad hominum usum paratae sunt.
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traduzione
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159. E che dire dei buoi? La stessa conformazione del dorso risulta inadatta a sostenere dei pesi, ma il collo
appare nato proprio per reggere il giogo e gli omeri ampi e vigorosi per trascinate l'aratro. Furono i buoi a domare la
terra scindendone le zolle e per questo loro merito gli uomini dell'et? dell'oro, a quanto ci riferiscono i poeti, non fecero
mai loro alcuna violenza:
? Quindi sorse d'un tratto una stirpe di ferro contesta e prima os? costruire la spada ministra di morte e dei
giovenchi, domati ed avvinti, a cibarsi d'intraprese ?
Il servizio prestato dai buoi era valutato a tal punto che il cibarsi delle loro carni era ritenuto un delitto.
Sarebbe troppo lungo passare in rassegna le benemerenze degli asini e dei muli certamente creati per servire
all'uomo.
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