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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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Brutus, 289
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originale
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[289] 'Demosthenem igitur imitemur.' o di boni! quid, quaeso, nos aliud agimus aut quid aliud optamus? at non adsequimur. isti enim videlicet Attici nostri quod volunt adsequuntur. ne illud quidem intellegunt, non modo ita memoriae proditum esse sed ita necesse fuisse, cum Demosthenes dicturus esset, ut concursus audiendi causa ex tota Graecia fierent. at cum isti Attici dicunt, non modo a corona, quod est ipsum miserabile, sed etiam ab advocatis relinquuntur. quare si anguste et exiliter dicere est Atticorum, sint sane Attici; sed in comitium veniant, ad stantem iudicem dicant: subsellia grandiorem et pleniorem vocem desiderant.
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traduzione
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289 "Allora imitiamo Dernostene." D?i buoni! E io, chiedo scusa, cos'altro faccio, o a cos'altro miro? Ma non ci
riesco. Difatti questi attici nostri - si capisce! -riescono in quel che si prefiggono. Nemmeno di questo si rendono conto,
che non solo cos? vien tramandato, ma che cos? doveva essere necessariamente, cio? che quando doveva parlare
Demostene da tutte le parti della Grecia si accorresse in massa per ascoltarlo. Invece quando parlano questi attici,
vengono piantati in asso non solo dal pubblico, il che ? gi? pietoso, ma anche dai sostenitori del loro cliente. Pertanto, se
? tipico degli attici parlare in maniera striminzita e scarna, siano pure attici: per? vengano nel comizio, e parlino di
fronte a un giudice ritto in piedi; i sedili del tribunale richiedono una voce pi? sostenuta e pi? piena.
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