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Mittente:
Bukowski
Re: Lacus Curtius urgente   stampa
Data:
17/04/2002 12.43.01




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Come promesso. La traduzione ? eccellente.

[4, I] E quello: - Augusto, dicevo, am? le facezie, per? nel rispetto della dignit? e della decenza, evitando di fare il buffone. [2] Aveva scritto una tragedia Aiace, non gli era piaciuta e l'aveva distrutta. Il tragediografo Lucio Vario 1 gli chiedeva poi che cosa facesse il suo Aiace; ed egli: "Si ? gettato su una spugna". [3] Lo stesso Augusto, ad un tale che gli presentava timoroso una supplica e ora porgeva ora ritraeva la mano, disse: "Credi di dare una moneta ad un elefante?". [4] Sempre Augusto. Pacuvio Tauro gli chiedeva un regalo in denaro, dicendo che gi? si era sparsa la voce che egli aveva ottenuto una non piccola somma; quello di rimando: "E tu non crederci". Un ufficiale di cavalleria che era stato destituito gli chiedeva l'indennit? di buon'uscita dicendo: "Non faccio questa richiesta per lucro, ma per far la figura di aver ottenuto un regalo da te e quindi aver abbandonato il servizio"; e quello ribatt?: "Va pure in giro a dire che l'hai ricevuto: io non ti smentir?". [6] Rimase celebre pure la sua arguzia nei confronti di Erennio, un giovane vizioso. Gli aveva ordinato di lasciare l'accampamento, e quello supplicando lo scongiurava: "Come potr? tornare a casa? che dir? a mio padre?"; egli rispose: "Digli che non ti son piaciuto". In una spedizione un soldato, colpito da un sasso, era rimasto sfigurato in fronte per una cicatrice ben visibile, per? si vantava esageratamente della sua opera; rimprover? con dolcezza: "Quando ti capiter? di scappare, non guardarti mai indietro!". [8] Galba, che era gobbo, nel trattare una causa dinanzi a lui, ripeteva spesso: "Se qualcosa non ti va, correggimi"; ed egli: "Posso avvertirti, ma non correggerti". Molti processi in cui Severo Cassio sosteneva l'accusa si concludevano con un'assoluzione ed erano cosi finiti. Poich? l'architetto del Foro di Augusto tirava in lungo l'attesa per la conclusione dell'opera, egli usc? in questa battuta: "Vorrei che Cassio accusasse anche il mio Foro". [10] Vettio aveva arato la tomba di suo padre; ed Augusto: "Questo si chiama coltivare l'onore per la tomba del padre". [11] Quando ebbe la notizia che in Siria Erode, re degli Ebrei, aveva fatto uccidere tutti i bambini inferiori a due anni, e fra di essi anche il proprio figlio, osserv?: "? meglio essere un maiale di Erode piuttosto che suo figlio". [12] Sempre Augusto. Sapendo che il suo caro Mecenate scriveva in uno stile trasandato, fiacco e slegato, normalmente si uniformava a tale criterio nelle lettere che gli indirizzava; invece, in contrasto con il linguaggio castigato da lui usato le altre volte, in una lettera familiare a Mecenate introdusse nella chiusa parecchie espressioni traboccanti di facezie: "Addio, o miele delle genti, soave dolcezza (?), avorio di Toscana, silfio di Arezzo, diamante del settentrione, perla del Tevere, smeraldo della famiglia Cilnia, diaspro di vasai, berillo di Porsenna, carbonchio... che ti colga!, insomma, per farla breve, impiastro emolliente da puttane". [13] Un tale gli offri un pranzo abbastanza, modesto, come un pasto ordinario: egli non ricusava quasi nessun invito. Dopo quel banchetto misero e senza alcun apparato, congedandosi dal padrone di casa che lo salutava mormor? soltanto: "Non credevo di esserti tanto in confidenza". [14] Aveva fatto comperare della porpora di Tiro e non era contento del colore scuro; al venditore che gli suggeriva: "Alzala contro luce e guardala dal basso", ribatt? con questo frizzo: "Ma come! perch? il popolo romano dica che sono elegante, dovr? passeggiare su un terrazzo?". [15] Si lamentava della mancanza di memoria dell'addetto a rammentargli i nomi delle persone. Ad una domanda di lui: "Hai delle commissioni per il Foro? rispose: "Si, prendi le raccomandazioni; intanto l? non conosci nessuno". [16] Da giovane disse una fine impertinenza a Vatinio. Questi, afflitto dalla gotta, voleva far credere di essersi ormai sbarazzato dell'infermit? e si vantava di far passeggiate di un miglio; e Cesare Augusto: "Non mi stupisco; le giornate gi? si allungano alquanto". [I7] Gli fu riferito di un enorme debito, superiore a venti milioni di sesterzi, che un cavaliere romano era riuscito a tener nascosto finch? visse. Quando i beni di quello furono messi all'incanto, diede ordine di comprargli il materasso, e a chi si meravigliava diede questa spiegazione: "Deve essere adatto al sonno il materasso su cui quello riusc? a dormire pur essendo tanto indebitato". [I8] Non bisogna tralasciare le parole da lui pronunciate in onore di Catone. Per caso era giunto nella casa dove Catone aveva abitato, e Strabone, per adulare Cesare Augusto, diceva male dell'ostinazione di Catone; al che egli: "Chi non vuol mutare la forma di governo vigente, ? buon cittadino e persona dabbene? Cos?, tra il serio e il faceto, tribut? una lode a Catone e nello stesso tempo provvide a s?, ad evitare che si cercasse di introdurre innovazioni politiche. [I9] A proposito di Augusto, in genere lo ammiro di pi? per le facezie sopportate che per quelle pronunciate; giacch? ? pi? lodevole l'attitudine a sopportare che la prontezza di parola, tanto pi? che egli riusc? a tollerare senza scomporsi alcune battute che erano pi? pungenti di una semplice facezia. [20] ? diventato celebre lo scherzo feroce di quel provinciale che, venuto a Roma, attirava su di s? gli sguardi di tutta la gente perch? assomigliava moltissimo a Cesare Augusto. Questi se lo fece condurre dinanzi e dopo averlo ben osservato gli fece questa domanda: "Dimmi, giovanotto, tua madre ? mai stata a Roma?"; quello non si content? di rispondere di no, ma aggiunse: "Per? mio padre ci ? venuto spesso". [2I] Al tempo dei triunviri Pollione, a proposito dei versi fescennini che Augusto aveva composto contro di lui, osserv?: "Io sto zitto; non ? facile scrivere contro chi pu? proscrivere ? ". [22] Curzio, un cavaliere romano che gavazzava nelle raffinatezze, in un banchetto offerto da Cesare Augusto si mise nel piatto un tordo magro; per cui domand? se poteva rimandarlo. E l'imperatore rispose: "Perch? no?"; quello s?bito lo rimand? buttandolo fuori dalla finestra. [23] Augusto senza esserne richiesto aveva pagato il debito di un senatore che gli era caro, sborsando quattro milioni di sesterzi; e quello per tutto ringraziamento gli scrisse soltanto: "A me nulla". [24] Il suo liberto Licino soleva anticipare grandi somme di denaro al signore quando intraprendeva nuove opere. Seguendo questa consuetudine, gli firm? un assegno per dieci milioni, in cui la lineetta tracciata sopra la cifra si estendeva oltre la fine dell'indicazione della somma, lasciando sotto uno spazio libero. Cesare Augusto, sfruttando l'occasione, aggiunse di suo pugno un altro segno al precedente, riempiendo il vuoto con ogni cura e cercando di imitare la scrittura: cos? incass? una somma doppia, senza che il liberto facesse obiezione. Ma in s?guito, all'inizio di un'altra opera, rinfacci? gentilmente l'accaduto a Cesare Augusto mandandogli un assegno cos? formulato: "Signore, per le spese della nuova opera ti anticipo la somma che riterrai opportuna". [25] Ammirevole fu pure la sopportazione di Augusto come censore, e ne ebbe lode. L'imperatore incolpava un cavaliere romano di aver diminuito la consistenza del proprio patrimonio: quello diede pubblica prova di averlo invece aumentato. S?bito dopo contest? al medesimo di non aver ottemperato alle leggi contro il celibato: quello dichiar? di aver moglie e tre figli; quindi aggiunse: "D'ora inanzi, Cesare, quando vuoi fare delle inchieste su persone onorate, affidale a persone onorate". [26] Anche da un soldato toller? non solo libert? di parola, ma anche sconsiderata insolenza. In una casa di campagna passava notti disturbate, perch? gli interrompeva spesso il sonno il grido di una civetta. Un soldato, abile nella caccia agli uccelli, si prese cura di catturare la civetta, e gliela port? nella speranza di ricevere un premio vistoso. Il generale lo elogi? e gli fece dare mille sesterzi; quello os? replicare: "Preferisco che viva", e lasci? volar via l'uccello. Chi non resta stupito che Cesare Augusto, senza sentirsi offeso, abbia lasciato andare quel soldato arrogante? [27] Un veterano, che correva il rischio di perdere una causa in tribunale, affront? in pubblico Cesare Augusto e lo preg? di assisterlo. Egli senza indugio gli diede come avvocato uno del suo s?guito e gli raccomand? il cliente. Ma il veterano esclam? a gran voce: "Io per?, Cesare, quando tu eri in pericolo nella guerra di Azio, non cercai un sostituto, ma di persona combattei in tua difesa", e denud? le cicatrici che gli erano rimaste. Cesare Augusto arross? e si present? a difenderlo, perch? temeva di sembrare non solo superbo ma anche ingrato. [28] Durante una cena si era divertito alle esecuzioni dei musici di Toronio Fiacco, mercante di schiavi e aveva loro donato del frumento, mentre in occasione di altri trattenimenti era stato generoso di denaro. In s?guito, quando in un'altra cena Cesare Augusto chiese di ascoltarli di nuovo, Toronio li scus? con queste parole: "Sono alle macine". [29] Ritornava dalla vittoria di Azio al culmine della gloria. Gli si fece incontro fra la gente che si congratulava un tale con un corvo in mano a cui aveva insegnato a dire: "Salve, Cesare, vincitore, imperatore". Cesare Augusto, ammirando la deferenza di quell'uccello, lo compr? per ventimila sesterzi. Un compagno dell'artefice di quella trovata, a cui non era toccato nulla di quella generosit?, assicur? Cesare Augusto che colui aveva anche un altro corvo: lo preg? che se lo facesse portare. Fu portato, e pronunci? le parole che aveva imparato: "Salve, vincitore, imperatore, Antonio". Per nulla irritato, egli si limit? ad ordinare a quel tale di dividere con il compagno l'elargizione ricevuta. [30] Salutato in maniera analoga da un pappagallo, lo fece comperare. Per la stessa ragione ammirando una gazza, compr? anche questa. Indotto da tali precedenti, un povero calzolaio si mise ad istruire un corvo a rivolgere lo stesso saluto: ridotto all'estremo per il gravoso impegno, soleva spesso ripetere all'uccello che non rispondeva: "Fatica e soldi sprecati". Un giorno finalmente il corvo cominci? a dire il saluto che gli era stato insegnato. Augusto lo ud? passando e rispose: "Ne ho abbastanza a casa di tali salutatori". Ma al corvo era rimasta in mente anche la frase che era solito sentir ripetere dal padrone quando si lamentava, e soggiunse: "Fatica e soldi sprecati". Al che Cesare Augusto scoppi? a ridere, e fece comprare l'uccello pagando un prezzo superiore a tutti gli altri sborsati fino allora. [31] Quando Cesare Augusto scendeva dal Palatino, un poetastro greco gli offriva sempre un epigramma in suo onore. L'aveva gi? fatto molte volte inutilmente ed Augusto comprendendo che l'avrebbe fatto ancora, scrisse di suo pugno su un foglio un breve epigramma in greco e lo invi? a quel tale che gli si faceva incontro. Quello al leggerlo ne faceva l'elogio ed esprimeva ammirazione sia a parole che con il volto; quindi, avvicinatosi al seggio, frug? nel suo povero borsellino e ne trasse pochi soldi da dare all'imperatore. Accompagn? il gesto con queste parole: "Alla tua fortuna, Augusto! se ne avessi di pi?, te ne darei di pi?". Tutti scoppiarono a ridere: Cesare Augusto chiam? il tesoriere e fece versare al Greco centomila sesterzi.
[5, I] Volete che raccontiamo anche qualche battuta di sua figlia Giulia? Se non mi giudicate un chiacchierone, vorrei far precedere qualche notizia sui costumi di quella donna, a meno che qualcuno di voi abbia argomenti seri e istruttivi da esporre. Tutti lo esortavano a continuare, ed egli parlando di Giulia cominci? cosi: [2] - Aveva trentotto anni, un'et? che doveva indurla a pensare alla vecchiaia, se fosse stata savia; ma essa abusava dell'indulgenza della fortuna e di quella di suo padre. D'altra parte, l'amore per le lettere e la grande cultura, che era facile avere in quella casa, inoltre una squisita educazione congiunta ad estrema dolcezza d'animo attiravano enorme simpatia a quella donna, tra lo stupore di quelli al corrente dei suoi vizi che consideravano il contrasto cosi parimenti grande. [3] Pi? d'una volta suo padre, sia pur con indulgenza mista a severit?, l'aveva ammonita a moderare il lusso eccessivo e l'apparato vistoso del s?guito. Ed ogni volta che considerava la turba di nipoti notandone la somiglianza con Agrippa, arrossiva di dubitare della pudicizia di sua figlia. [4] Quindi Augusto amava cullarsi nell'illusione che sua figlia avesse un temperamento esuberante fino a dar l'impressione di procace sfrontatezza, ma esente da colpa: osava credere che fosse come Claudia nei tempi antichi. Perci? con gli amici diceva di avere due figlie viziate che doveva per forza sopportare, lo stato e Giulia. [5] Si era presentata a lui con un vestito troppo ardito: non gli piacque, per? rimase zitto. Il giorno seguente mut? genere di abbigliamento e con aria seria abbracci? il padre tutto contento: questi il giorno prima era riuscito a trattenere il dispiacere, ma allora non seppe trattenere la gioia e le disse: "Quanto ? pi? conveniente questo abbigliamento per la figlia di Augusto!". A Giulia non mancarono le parole per scolparsi: "Oggi mi son fatta bella per gli occhi del padre, ieri per quelli del marito". [6] ? nota anche quest'altra battuta. In uno spettacolo di gladiatori Livia e Giulia attiravano gli sguardi della gente per la diversit? del s?guito: Livia era attorniata da uomini seri, l'altra era assediata da una schiera di giovanotti che rivelavano dissoluta raffinatezza. Il padre le fece notare in un biglietto la differenza fra le due prime signore di Roma; essa gli mand? una risposta brillante: "Costoro invecchieranno con me". [7] Sempre di Giulia. Aveva cominciato presto ad avere capelli bianchi, e se li faceva strappare in segreto. Un giorno il padre giungendo all'improvviso sorprese le pettinatrici: finse di non aver notato i capelli sui loro vestiti, e dopo aver parlato per un po' del pi? e del meno, port? il discorso sull'et?, chiedendo alla figlia se fra qualche anno preferiva essere canuta o calva, quella rispose: "Io, babbo, preferisco essere canuta", ed egli le rinfacci? la bugia: "E allora perch? queste donne ti rendono calva cosi presto?". [8] E ancora. Un amico cercava di convincere Giulia che avrebbe fatto meglio se si fosse conformata alla semplicit? di suo padre. Quella dopo averlo ascoltato disse: "Egli si dimentica di essere Cesare, ma io mi ricordo di essere la figlia di Cesare". [9] Quelli al corrente delle sue scandalose avventure si stupivano che partorisse figli somiglianti ad Agrippa, lei che si concedeva a tutti tanto facilmente. Ed essa: "Non prendo passeggeri se non quando ho fatto il pieno". [10] Analoga battuta si attribuisce a Populia figlia di Marco. Un tale si chiedeva stupito come mai le altre bestie desiderassero accoppiarsi solo quando volevano restare incinte; ed essa pronta: "Si capisce! sono bestie".

Trad. UTET
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