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Bukowski
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17/04/2002 13.26.21




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Valerio Massimo, Fatti e detti memorabili, II, 1.1-1.6

Dopo avere osservato il ricco e possente regno della natura, prender? ora la penna per trattare delle antiche e memorabili istituzioni sia nostre, sia straniere: perch? ? necessario che di questa vita che oggi viviamo all'ombra del migliore dei principi sappiamo quali siano stati i fondamenti, onde lo sguardo su di essi gettato giovi in qualche modo ai costumi dei nostri giorni.

DELLE ANTICHE ISTITUZIONI
[I, I] Presso gli antichi nessuna azione, non solo pubblica, ma anche privata, veniva compiuta, se prima non fossero stati presi i relativi ausp?ci. Questa consuetudine ha fatto in modo che anche oggi gli ?uspici partecipino alle nozze: ed anche se costoro non chiedono pi? gli ausp?ci, il loro stesso nome rivendica ad essi le vestigia dell'antica usanza.
[2] Le donne solevano pranzare sedute, mentre gli uomini stavano sdraiati. Quest'uso pass? dagli uomini agli d?i: tant'? vero che durante il banchetto in onore di Giove il dio veniva invitato a sdraiarsi al suo posto, mentre Giunone e Minerva lo erano a sedere. Tale rigorosa costumanza ? stata conservata fino ai nostri giorni con pi? cura nel Campidoglio che nelle case private, naturalmente perch? tenere a freno la condotta riguarda pi? le dee che le donne! [3] Le donne che si erano contentate di un solo matrimonio venivano onorate con l'aureolato titolo di pudiche: giacch? stimavano che incorrotto e fedele fosse l'animo di quella matrona che non sapesse uscire dalla stanza in cui aveva deposto la sua verginit? e credevano che l'esperienza di pi? di un matrimonio fosse indizio di un'intemperanza, per cos? dire, legittimata.
[4] Per centocinquant'anni dalla fondazione di Roma non si verific? alcun ripudio tra moglie e marito. Il primo a scacciare la moglie per la sua sterilit? fu SpuriQ Carvilio. Ma sebbene sembrasse spinto da un motivo ragionevole, egli non fu tuttavia risparmiato da critiche e censure, perch? i nostri antenati ritenevano che neppure il desiderio di aver figli avrebbe dovuto essere anteposto alla fedelt? coniugale.
[5] Inoltre, perch? il decoro delle matrone fosse protetto dal baluardo della pudicizia, fu proibito a chi citasse una donna in tribunale di sfiorarne il corpo, onde la sua stola rimanesse non tocca da mano altrui. L'uso del vino era, un tempo, ignoto alle donne romane, naturalmente ad evitare che si lasciassero andare a qualche gesto indecoroso, perch? il grado successivo dell'intemperanza che si deve al padre Libero si risolve generalmente nell'amore illecito. Del resto, perch? la loro pudicizia non fosse uggiosa e repellente, ma si accompagnasse ad un moderato fascino femminile - col permesso dei loro mariti usavano gioielli d'oro e porpora a profusione -, per rendere pi? grazioso il loro aspetto si tingevano accuratamente i capelli di rosso: infatti allora non si temevano gli sguardi dei seduttori delle mogli altrui, ma c'era reciproco rispetto e pudore tra gli uomini nel guardare le donne e tra le donne nell'essere guardate.
[6] Tutte le volte, poi, che ci fosse un litigio tra marito e moglie, ambedue si recavano nel tempietto della dea Viriplaca, sito sul Palatino e, dopo aver ivi esposto quanto volevano, mettevano da parte ogni ostilit? e se ne tornavano a casa d'amore e d'accordo. Si dice che questa dea, indubbiamente veneranda e non so se degna di particolari e scelti sacrifici quale custode della pace quotidiana e domestica, abbia preso nome da tale sua funzione: certo essendo che col suo stesso appellativo essa rende all'autorit? dei mariti, nello spirito di un reciproco affetto, l'onore dovuto dalle mogli.

Trad. UTET
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