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Mittente:
Bukowski
Re: Quasi...   stampa
Data:
18/04/2002 19.18.58




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Finalmente :)

Macrobio, Saturnalia, II, 3

Mi meraviglio per? che tutti voi abbiate dimenticato le facezie di Cicerone: come in tutto il resto, anche in ci? egli fu molto facondo. Se mi consentite, far? come l'addetto al tempio che proclama i responsi del suo oracolo: riferir? i motti di Cicerone di cui mi ricordo. Erano tutti attenti per ascoltarlo, ed egli cominci?: - Marco Cicerone era a cena da Damasippo; il padrone di casa serv? un vino mediocre dicendo: "Bevete questo Falerno, ha quarant'anni", e quello: "Li porta bene". Vedendo suo genero Lentulo, che era di piccola statura, armato di una lunga spada, disse: "Chi ha legato mio genero ad una spada?". Neppure al fratello Quinto Cicerone risparmi? la sua mordacit?. Visitando la provincia in cui egli era stato governatore, vide un ritratto di lui poggiante su scudo, raffigurato con un busto enorme secondo la moda, e Quinto era invece di piccola statura; disse: "To'! mio fratello a met? ? pi? grande che tutt'intero". Durante il consolato di Vatinio, che dur? pochi giorni, circolava famosa una battuta di Cicerone: "? avvenuto un gran prodigio nell'anno di Vatinio: mentre egli era console non ci fu n? inverno n? primavera n? estate n? autunno". E a Vatinio che si lamentava perch? aveva fatto difficolt? ad andare a trovarlo a casa malato, rispose: "Avrei voluto venire durante il tuo consolato, ma mi sorprese la notte". Evidentemente Cicerone si vendicava, perch? si ricordava che, quando egli si vantava di essere rientrato dall'esilio portato a spalla, Vatinio gli aveva ribattuto: "E come mai hai le vene varicose?". Anche Caninio Rebilo, che come ha gi? detto Servio fu console per un sol giorno, sali i rostri assumendo e deponendo nello stesso momento la carica di console. Cicerone, che non si lasciava sfuggire nessuna occasione per far dello spirito, osserv? ironicamente: "Caninio ? un console percepibile solo con l'intelletto"; quindi: "Rebilo ottenne che si chiedesse sotto quali consoli egli fu console". Inoltre non cessava di ripetere: "Abbiamo in Caninio un console vigilante, che durante il suo consolato non prese mai sonno". Pompeo non riusciva a sopportare gli scherzi di Cicerone. Si riferiva questa battuta del secondo: "Io ho chi fuggire, ma non chi seguire". Quando poi pass? dalla parte di Pompeo, a chi gli osservava che era venuto tardi, ribatteva: "Non sono affatto in ritardo; vedo che qui non c'? nulla di pronto". E a Pompeo che gli chiedeva dove fosse suo genero Dolabella rispose: "Con tuo suocero". Pompeo aveva dato la cittadinanza romana ad un disertore; e quello: "Che uomo amabile! ai Galli promette la cittadinanza altrui, e non ? in grado di dare a noi la nostra". Perci? Pompeo sembrava aver ragione di dire: "Vorrei che Cicerone passasse al nemico, perch? ci temesse".
La mordacit? di Cicerone affond? i suoi denti anche in Cesare. Anzitutto, dopo la vittoria di Cesare, quando gli chiesero perch? si fosse sbagliato nella scelta del partito, rispose: "Mi ingann? il suo modo di cingersi la toga", e lo scherzo era rivolto contro Cesare, che indossava la toga in modo da lasciarne strisciare l'orlo camminando, come un effeminato: tanto che Silla, come fosse presago del futuro, disse a Pompeo: "Gu?rdati da quel ragazzo mal vestito". Inoltre, quando alla fine dei giochi Laberio ebbe l'onore di ricevere da Cesare l'anello d'oro, immediatamente pass? nelle quattordici file riservate, nonostante l'avvenuta violazione del rango; ma non fu accolto come cavaliere romano e senz'altro respinto; e Cicerone, mentre Laberio gli passava davanti alla ricerca di un posto, gli disse: "Ti farei sedere io, se non fossi gi? allo stretto?, contemporaneamente ricusando di accoglierlo e scherzando sul nuovo senato che Cesare aveva aumentato di numero oltre illecito. Ma non se la cav? liscia; giacch? Laberio gli ribatt?: "? strano che ti trovi allo stretto, tu che sei solito occupare due posti", rinfacciando a Cicerone la leggerezza ambigua, per cui non meritava di essere biasimato quell'ottimo cittadino. Un'altra volta lo stesso Cicerone irrise apertamente alla facilit? con cui Cesare eleggeva nuovi senatori. Al suo ospite Publio Mallio che lo pregava di far ottenere al suo figliastro la carica di senatore in un municipio, rispose alla presenza di molta gente: "A Roma, se vuoi; ma a Pompei ? difficile". Ma la sua mordacit? non si ferm? entro questi limiti. Un certo Androne di Laodicea era passato a salutarlo: gli chiese il motivo della sua venuta a Roma e avendo appreso dalla risposta che era ambasciatore presso Cesare per la libert? della sua patria, si rifer? al pubblico servaggio con queste parole: "Se riesci nella tua missione, fa l'ambasciata anche per noi!". Era anche capace di una mordacit? seria, che andava oltre lo scherzo, come si ricava da questo passo della lettera a Gaio Cassio l'assassino di Cesare: "Avrei voluto che alle idi di marzo mi avessi invitato a cena: non sarebbero certo rimasti avanzi; ora gli avanzi da voi lasciati mi tormentano". Pure Cicerone scherz? con molto spirito su suo genero Pisone e su Marco Lepido. Simmaco parlava ancora e, a quanto sembra, avrebbe proseguito, se, come capita nelle conversazioni a tavola, Avieno non l'avesse interrotto dicendo: - Anche, Cesare Augusto non fu inferiore ad alcuno in tale tendenza a far dello spirito, forse neppure a Tullio Cicerone: se permettete, son pronto a raccontarvi alcune sue battute di cui mi ricordo. E Oro: Avieno, lascia che Simmaco finisca di esporre i motti di Cicerone cui gi? aveva accennato; poi avrai migliore opportunit? di far seguire quelli di Augusto. Avieno tacque e Simmaco riprese: - Cicerone, stavo dicendo, dato che suo genero Pisone aveva un'andatura un po' effeminata e sua figlia troppo concitata, disse alla figlia: "Cammina come tuo marito". E quando Lepido in senato rivolgendosi ai senatori disse: " ... [lacuna]... ", Tullio Cicerone osserv?: "lo non avrei stimato tanto una rima". Ma ora a te, Avieno: ti vedo smanioso di parlare e non voglio farti indugiare oltre.

Trad. UTET
  Quasi...
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