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Mittente:
Bukowski
Re: Le Elegie di Properzio   stampa
Data:
18/04/2002 21.04.07




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I2
A che ti serve, mia vita, incedere con adorne chiome
e agitare in delicate pieghe una veste che viene da Cos,
a che ti serve inondare i capelli di profumi siriaci,
metterti in mostra con finezze esotiche,
e offuscare la tua schietta bellezza, con ornamenti comprati,
senza lasciare che le tue membra splendano della loro grazia?
La tua figura, credimi, non abbisogna di artifici:
Amore, che ? nudo, non ama chi troppo ritocca il suo aspetto.
Guarda quali colori fa sbocciare la terra leggiadra,
e come meglio cresce l'edera spontanea,
e come con pi? grazia il corbezzolo riveste i recessi solitari
e come meglio per solchi non tracciati sa scorrere l'acqua sorgiva.
Attirano le spiagge, istoriate solo di mosaici nativi,
e senza un'arte appresa soavemente cantano gli uccelli.
Non cos? la leucippide Febe accese Castore d'amore,
n? col suo fasto la sorella Elaira attrasse Polluce,
non cos?, segno di discordia tra Ida e l'ardente Febo,
ispir? amore la figlia di Eveno sui paterni lidi;
n? con falso splendore attrasse il pretendente Frigio
Ippodam?a, rapita lontano su un carro straniero.
Ad esse bastava il bel volto, senza sfoggio di gemme,
con un colore quale vediamo nei quadri di Apelle.
Non bramavano, loro, attrarre amanti d'ogni risma:
pudicizia era per loro un fascino bastante.
Ora io temo di valere per te meno di tanti amanti:
se piace a uno solo, ? adorna quanto basta una fanciulla.
A te, inoltre, il dio Febo dispensa i suoi canti!
e lieta ti porge Calliope la lira aonia
n? manca mai alle parole tue soavi una grazia che ? solo tua,
i pregi che Venere ama e quelli che approva Minerva,
per essi sarai per me sopra ogni cosa cara, finch? io viva,
purch? tu prenda in odio le miserie del lusso sfarzoso.

I 4
Perch?, o Basso, col lodarmi tante altre fanciulle
mi spingi a distaccarmi dalla donna mia?
Perch? non lasci ch'io trascorra il resto dei miei giorni
sotto il giogo ormai noto di questo mio servaggio?
Potresti ben vantarmi la bellezza della Nitteide Antiope,
e far le lodi della spartana Ermione
e di tutte le belle che vissero nel tempo splendido dei miti,
ma Cinzia oscurerebbe il loro nome.
lmmaginarsi se al confronto di creature di ogni giorno
pu? far brutta figura, giudice chi tu voglia.
Ma questa sua bellezza nella mia passione vien per ultima;
c'? di meglio, o Basso, e val la pena di rimetterci la vita:
l'aspetto nobile, la grazia, che le viene dalle molte arti,
e quelle gioie che in silenzio tra le coperte ? bello prolungare.
Per questo, quanto pi? ti sforzi di sciogliere il nostro affetto,
sempre peggio ti va, per il nostro mutuo patto d'amore.
E poi non ti andr? liscia: lo verr? a sapere, quella donna agitata,
ti si far? nemica, con gran scenate;
non vorr? pi? lasciarmi star con te, dopo di questo,
Cinzia pi? non ti cercher?, memore di tanta colpa,
e ti diffamer? con le altre donne, tutta piena d'odio:
nessuna casa, ahim?, ti vorr? pi? qual ospite gradito!
Nei suoi lamenti, lei non trascurer? un altare,
dovunque sorga una qualunque pietra sacra:
nessun danno colpisce Cinzia con pi? violenza
di quando il dio sta a guardare, e intanto le rapiscono un amore:
tanto pi? se son io. E sia cos? per sempre, io prego,
e in lei non trovi io mai motivo di lamento!

Mentre tu canti, Pontico1, Tebe Cadmea
e le armi funeste della fraterna guerra,
e gareggi - questo ? il mio augurio - con il sommo Omero
(sol che ai tuoi carmi sia propizio il fato),
io, come sempre, alla mia storia d'amore mi travaglio
e ricerco un rimedio per la dura tiranna;
e son costretto non tanto a seguir l'estro, ma a dolermi
e a lamentare i duri giorni della vita mia.
Qui si consuma l'arco della mia vita, ma questa ? la mia gloria,
di qui voglio che sorga la fama dei miei canti.
Mi si celebri solo perch? piacqui alla mia dotta donna, o Pontico,
e perch? spesso tollerai le sue ingiuste minacce;
me legga con affetto, nel futuro, l'amante ricusato
e dalle angosce mie tragga vantaggio.
E anche tu, se un giorno ti colpir? quel fanciullo col dardo sicuro,
(non vorrei che tu avessi violato i nostri d?i)
piangerai che lontane ti siano le tende e le sette schiere,
e giacciano in perpetuo in oscuro abbandono.
Invano bramerai d'intessere molli versi d'amore,
n? a te pi? canti ispirer? tardivo Amore.
Allora dovrai guardare a me, non umile poeta,
allora preferito io sar? tra gli ingegni romani;
e un giorno davanti alla mia tomba i giovani diranno:
?Qui tu giaci, grande cantore della passione nostra?.
Dall'alto della tua superbia, bada di non spregiare i nostri canti:
spesso, quando giunge tardivo, Amore chiede a noi
[un caro prezzo].
  Le Elegie di Properzio
      Re: Le Elegie di Properzio
 

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