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Bukowski
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Re: orazio odi
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Data:
21/04/2002 17.11.04
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L'altra ode appartiene sempre al libro secondo. Scusa ritardo.
Orazio, Odi, II, 13 e 20 [le traduzioni sono sotto gli originali]
XIII Ille et nefasto te posuit die, quicumque primum, et sacrilega manu produxit, arbos, in nepotum perniciem obprobriumque pagi; 5 illum et parentis crediderim sui fregisse ceruicem et penetralia sparsisse nocturno cruore hospitis, ille uenena Colcha et quidquid usquam concipitur nefas 10 tractauit, agro qui statuit meo te, triste lignum, te, caducum in domini caput inmerentis. Quid quisque uitet, nunquam homini satis cautum est in horas: nauita Bosphorum 15 Poenus perhorrescit neque ultra caeca timet aliunde fata, miles sagittas et celerem fugam Parthi, catenas Parthus et Italum robur; sed inprouisa leti 20 uis rapuit rapietque gentis. Quam paene furuae regna Proserpinae et iudicantem uidimus Aeacum sedesque discriptas piorum et Aeoliis fidibus querentem 25 Sappho puellis de popularibus et te sonantem plenius aureo, Alcaee, plectro dura nauis, dura fugae mala, dura belli. Vtrumque sacro digna silentio 30 mirantur umbrae dicere, sed magis pugnas et exactos tyrannos densum umeris bibit aure uolgus. Quid mirum, ubi illis carminibus stupens demittit atras belua centiceps 35 auris et intorti capillis Eumenidum recreantur angues? Quin et Prometheus et Pelopis parens dulci laborum decipitur sono nec curat Orion leones 40 aut timidos agitare lyncas.
13, all'albero maledetto Chiunque sia stato, chi ti piant? in un giorno nefasto e con mano sacrilega ti crebbe, albero, per disgrazia dei nipoti e per la vergogna di questo villaggio, non stento a credere che abbia spezzato il collo a suo padre e che abbia di notte macchiato col sangue di un ospite le pareti di casa: chi ti pose nel mio podere certo praticava i veleni della C?lchide e ci? che vi ? di pi? scellerato, legno maledetto, tu che quasi cadevi sul capo del tuo innocente padrone. Non si prevede mai abbastanza per tempo ci? che devi evitare: il marinaio punico ha terrore del Bosforo, ma oltre non teme pi? gli imprevisti del destino; il soldato paventa le frecce scagliate dai parti in fuga, il parto i ceppi e la potenza nostra; ma la raffica della morte gli uomini rap? e rapir? sempre. Poco manc? che il regno oscuro di Proserpina e in veste di giudice ?aco io vedessi, e le dimore appartate dei giusti, e Saffo che sulle corde dell'Eolia si lagna delle fanciulle della sua terra, e Alceo che con la cetra d'oro a voce piena canta i travagli del mare, i travagli dell'esilio e quelli ancora della guerra. E si stupiscono le ombre al loro canto degno di religioso silenzio; ma spalla a spalla la folla meglio assapora le battaglie e la cacciata dei tiranni. Qual meraviglia se stupefatta a quei canti le orecchie delle sue cento teste la belva nera abbassa e i serpenti aggrovigliati ai capelli delle Eum?nidi si placano? Persino Prometeo a quella musica dolce e il padre di P?lope scordano la pena, e persino Orione pi? non si cura di cacciare leoni o linci smarrite.
XX Non usitata nec tenui ferar penna biformis per liquidum aethera uates neque in terris morabor longius inuidiaque maior 5 urbis relinquam. Non ego pauperum sanguis parentum, non ego quem uocas, dilecte Maecenas, obibo nec Stygia cohibebor unda. Iam iam residunt cruribus asperae 10 pelles et album mutor in alitem superne nascunturque leues per digitos umerosque plumae. Iam Daedaleo ocior Icaro uisam gementis litora Bosphori 15 Syrtisque Gaetulas canorus ales Hyperboreosque campos. Me Colchus et qui dissimulat metum Marsae cohortis Dacus et ultimi noscent Geloni, me peritus 20 discet Hiber Rhodanique potor. Absint inani funere neniae luctusque turpes et querimoniae; conpesce clamorem ac sepulcri mitte superuacuos honores.
20, a Mecenate per congedo Con ali insolite e salde mi lever? nell'aria limpida io, poeta a due volti, pi? non induger? su questa terra e indifferente all'invidia lascer? le citt? degli uomini. Io, che sono sangue di genitori poveri, io non morr?, Mecenate diletto che m'invochi, non mi circonder? l'onda dello Stige. Ecco: gi? alle mie gambe aderisce una pelle scabra e dall'inguine il mio corpo in bianco uccello si trasforma e lungo tutte le dita, lungo le spalle crescono piume morbide. Poi, spiegando il volo pi? sicuro di Icaro, visiter?, cigno canoro, i lidi in pianto del Bosforo, nell'Africa le Sirti e nell'estremo settentrione le steppe. Di me sapranno i lontani geloni, i colchi e i daci, che nascondono in cuore il terrore dei marsi; mi leggeranno i civili spagnoli e chi nel Rodano si disseta. Dalle mie inutili esequie stiano lontani i lamenti, le nenie e i pianti che sfigurano; tu vieta che gridino e dimentica gli onori del sepolcro: non hanno senso.
Trad. database progettovidio
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• orazio odi Re: orazio odi
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