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Mittente:
Bukowski
Re: giovenale satire traduzione   stampa
Data:
28/04/2002 18.09.32




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Ma scherzi? In bokka al lupo!

V
(umiliazioni e arroganza)
Se anche tu mi giurassi che non provi vergogna
dei tuoi propositi e sei ancora convinto
che sommo bene sia sfamarsi alla tavola altrui,
e sopportare affronti puoi
che all'infame mensa di Cesare
nemmeno Sarmento o Gabba, per quanto ignobili,
avrebbero subito,
io non ti crederei.
Niente ? pi? facile che accontentare il ventre;
ma ammetti pure di non aver nemmeno quel poco
che occorre a uno stomaco vuoto:
non ci son pi? banchine libere?
un ponte o, men che meno, uno straccio di stuoia?
Vale dunque tanto per te
una cena inframmezzata d'ingiurie?
cos? rabbiosa ? la tua fame?
Umilia meno battere all'addiaccio i denti,
rosicchiare i ripugnanti tozzi di pane
che si gettano ai cani.
F?ccati bene in testa che un invito a cena
costituisce il saldo di servizi resi.
Un pasto: questo frutta l'amicizia dei potenti.
Il tuo tiranno te lo mette in conto
e te lo mette anche se t'invita,
ahim?, cos? di rado.
Dopo mesi d'oblio gli salta in mente
d'invitare un cliente
perch? vuoto non rimanga un divano:
'Stiamo un po' insieme', gli dice.
Il colmo dei tuoi voti: cosa vuoi di pi??
Trebio ha ben ragione d'interrompere il sonno
e precipitarsi con le scarpe slacciate
al rito del saluto, nel timore
che la folla dei clienti abbia gi? concluso il giro
al lume incerto delle stelle,
quando il gelido carro di Boote
ruota ancora pian piano su s? stesso.
E poi, che cena! Neppure la lana grezza
vorrebbe quel vinaccio per sgrassarsi:
in tanti Coribanti
vedrai mutarsi i convitati!
Si d? il via con gli insulti;
ma ben presto anche tu, malconcio,
ti trovi a roteare coppe, a tergerti
col tovagliolo insanguinato le ferite,
ogni volta che tra voi e la schiera dei liberti
scoppia una rissa combattuta a colpi di bottiglia.
L'anfitrione intanto beve vino
imbottigliato al tempo in cui i consoli
portavano i capelli ancora intonsi,
e ne conserva di quello pigiato
durante le guerre sociali.
Lui, che nemmeno un bicchiere ne manderebbe
a un amico sofferente di stomaco,
domani si berr? un vino
dei colli Albani o dei Setini,
cos? vecchio che il tempo
sotto un velo di muffa ne avr? cancellato
sull'anfora antica origine e nome;
un vino uguale a quello che bevevano,
incoronati di fiori, Tr?sea ed Elvidio
nell'anniversario dei due Bruti e di Cassio.
E in che coppe li beve il tuo Virrone!
enormi, incrostate d'ambra, tempestate di gemme.
A te oggetti d'oro niente,
o se per caso te li danno,
ti mettono un guardiano al fianco
che controlla le pietre
e tiene d'occhio le tue unghie aguzze.
Comprendilo: l? c'? un diaspro famoso,
invidiato da tutti. Come tanti,
anche Virrone trasferisce le sue gemme
dalle dita alle coppe, e sono gemme
come quelle che il giovane
preferito al geloso Iarba
incastonava a vista sul fodero della spada.
Tu invece vuoterai un calice
a quattro becchi,
che porta il nome di un ciabattino di Benevento,
e in pi? sbrecciato al punto
da invocare zolfo per le crepe del vetro.
Se per troppe pietanze e troppo vino
ribolle lo stomaco del padrone,
ecco pronta per lui acqua bollita,
pi? fredda della neve getica.
Lamentavo che a voi
si servisse altra qualit? di vini?
Ma anche l'acqua che bevete ? diversa!
E ti porge il bicchiere
un galoppino africano o la mano ossuta
di un negro della Mauritania,
che non vorresti davvero incontrare
quando nel cuore della notte
t'inerpichi in mezzo ai sepolcri della via Latina.
Davanti a lui invece
ecco, c'? un fiore d'Asia,
pagato pi? di quanto possedevano
il bellicoso Tullo ed Anco; a farla breve,
pi? di tutti i poveri arredi
dei re romani messi insieme.
Stando cos? le cose,
quando avrai sete
rivolgiti al tuo nero Ganimede.
Un servo pagato un tal patrimonio
non sa come mescere il vino ai poveri:
? bello e giovane, la sua boria si spiega.
Quando mai arriver? sino a te?
quando mai, anche se lo preghi,
ti verser? l'acqua, calda o fredda che sia?
Gi? ? seccato di dover servire un vecchio cliente,
seccato che tu gli chieda qualcosa
e in pi? sdraiato come sei,
mentre lui se ne sta in piedi.
[Ogni casa importante
? piena di servi altezzosi.]
Eccone un altro: guarda come brontola
nel porgerti il pane appena spezzato!
Tozzi ammuffiti di farina dura come il marmo,
che per quanto tu batta i denti
non riesci ad intaccare.
Il pane tenero, bianco, impastato
con fior di farina, ? riservato al padrone.
Tieni a freno la mano;
abbi rispetto per quel pane.
Avanti, prova a mostrarti sfrontato:
addosso come un fulmine ti piomba
chi ti far? mollar la presa:
'Ospite sfacciato, attingi al paniere tuo!
Non sai distinguere il colore del tuo pane?'.
'Solo per questo dunque,
trascurando tante volte mia moglie,
mi sono inerpicato per il gelido Esquilino
in primavera sotto la furia di un temporale,
tra sferzate di grandine,
e col mantello tutto inzuppato di pioggia!'
Guarda quell'aragosta, che vien servita al padrone,
come guarnisce il piatto col suo lungo corpo
e come in mezzo a un mare di asparagi con la sua coda
sembra spregiare gli invitati,
mentre sulle mani di un servo gigantesco
passa trionfante tra voi.
E a te, vero banchetto funebre,
mezzo uovo che avvolge un gamberetto in un piattino.
Lui annega il pesce nell'olio di Venafro;
a te, poveruomo, vien dato un cavolo slavato
che puzza di lucerna:
l'olio delle vostre ampolle, lo sai,
? quello che i Numidi
ci portano sulle loro agili giunche,
un olio che rende persino immuni
dal veleno dei serpenti: per questo
nessuno a Roma vuol pi? lavarsi con B?ccare.
Triglia di Corsica per il padrone
o delle scogliere di Taormina:
il mare della nostra costa ormai ? morto,
spopolato da una golosit? sfrenata;
senza sosta le reti hanno sondato
per il mercato i fondali vicini a noi,
senza lasciare ai pesci del Tirreno
neanche il tempo di crescere.
? dunque la provincia che provvede
alla nostra cucina:
vien di l? ci? che Lenate, in caccia d'eredit?,
compra e Aurelia rivende.
A Virrone si serve una murena enorme,
pescata negli abissi di Sicilia:
quando l'Austro si quieta, tace e asciuga
nella sua grotta le ali madide di pioggia,
le reti osano sfidare
persino il cuore di Cariddi.
Per te invece, eccoti servito,
un'anguilla incrociata con le bisce
o un pescetto del Tevere
maculato dal gelo,
uno di quelli che nascono vicino alla sponda,
s'ingrassano agli scarichi della cloaca
e seguendo le fogne giungono
sino al centro della Suburra.
Se mi prestasse ascolto,
vorrei dire due parole a Virrone.
'Nessuno ti chiede quello che Seneca,
Cotta o il buon Pisone largivano
anche agli amici pi? modesti;
un tempo, ? vero, era la generosit?
maggior motivo di gloria che i titoli o le cariche.
Ti chiediamo soltanto
un po' di civilt? nelle tue cene.
Almeno questo; poi continua pure
ad essere prodigo con te stesso,
come fanno tanti, e spilorcio con gli amici.'
Davanti a lui fumano il fegato di un'oca enorme,
un pollo grosso come questa
e un cinghiale degno del ferro
del biondo Meleagro.
Poi a primavera, se gli invocati temporali
avranno reso pi? laute le cene,
ecco i tartufi. E Alledio:
'Tienti pure il tuo frumento, Libia,
stacca dall'aratro i buoi, ma mandaci i tuoi tartufi!'.
No, non v'? limite allo sdegno: guarda
come saltella passo passo il maggiordomo,
come quel pantomimo volteggia il coltello,
finch? non ha eseguito
tutti i dettami del suo pigmalione:
certo non ? cosa da poco
distinguere con quale gesto
? da trinciare una lepre e con quale una gallina!
Se osi fiatare, quasi fossi un nobile,
sarai, come Caco steso da Ercole,
trascinato per i piedi e scaraventato fuori.
Quando mai Virrone brinda con te?
Berrebbe mai dal tuo bicchiere?
C'? qualcuno tra voi cos? audace
o cos? folle da dire al grand'uomo: 'Bevi!'?
Sono molte, troppe le cose
che non osa dire chi ha un abito sdrucito.
Ma se un dio o un omuncolo
simile agli dei e migliore del destino
ti regalasse una fortuna,
dal niente che sei, diverresti
per Virrone il pi? amico degli amici.
'Date a Trebio, servite Trebio!
Fratello mio, vuoi un po' di questo filetto?'
Denaro, denaro! ? questo che onora,
che ? suo fratello! Ma se vuoi
signoreggiare veramente su di lui,
mai accada che alla tua corte
giochi un piccolo Enea o una bambina
pi? tenera di lui:
una moglie sterile rende amabile
e prezioso l'amico.
M?cale, per?, la tua concubina,
pu? partorire quanto vuole,
scodellandoti in grembo tre figli alla volta:
felice sar? di questa nidiata allegra,
e ogni volta che un piccolo scroccone
seder? alla sua mensa,
gli far? portare un farsetto verde e
noccioline, monetine, quante ne vuole.
Agli amici di poco conto
funghi di dubbio pregio;
al padrone un porcino,
di quelli che mangiava Claudio,
prima che uno gliene offrisse sua moglie,
dopo il quale non mangi? pi?.
Per s? e per qualche altro Virrone
far? portare frutti, il cui profumo,
solo quello, basterebbe a saziarti,
frutti come ne produceva
l'eterno autunno dei Feaci,
frutti che tu potresti credere
sottratti alle sorelle Esp?ridi.
Per te, o gaudio, una mela rognosa,
di quelle rosicchiate sui bastioni
da una scimmia che bardata di scudo ed elmo
impara tremando a suon di frustate
come dal dorso irsuto di una capra
si scaglia un giavellotto.
Credi che Virrone lo faccia per spilorceria?
No, gli piace farti soffrire:
non c'? commedia, non c'? mimo
pi? divertente di un affamato che implora.
Tutto ? predisposto, se vuoi saperlo,
per costringerti a spargere
lacrime di bile, a stridere i denti
tra le mascelle serrate. E tu credi
d'essere un uomo libero, un pari del re?
Uno schiavo, nient'altro ti ritiene,
schiavo del profumo che emana dalla sua cucina,
e non ha torto. Chi ? quel miserabile
che pu? sopportarlo due volte,
se da ragazzo ha portato la borchia d'oro
o almeno il collare di cuoio
che distingue i cittadini pi? poveri?
Vi perde la speranza di una buona cena:
'? il nostro turno: ci dar? gli avanzi della lepre,
il coccige del cinghiale; magari
giunger? sino a noi un pollastrino'.
E cos? ve ne state tutti muti,
in attesa, col pane pronto,
intatto, stretto in pugno.
Ha ragione lui a trattarvi in questo modo.
Se puoi sopportare tutto ci?, te lo meriti.
Un giorno, a testa rasa,
ti farai riempire di schiaffi
la faccia, subirai impavido
le pi? dure sferzate, degno come sei
di un tale banchetto e di un tale amico.


XI
(i giusti piaceri)
Se Attico cena in modo sopraffino,
passa per gran signore;
se lo fa R?tilo, passa per pazzo.
Non c'? nulla che faccia pi? sghignazzare la gente
di un Apicio in miseria.
Ai pranzi, ai bagni, nei ritrovi, nei teatri,
dovunque si parla di R?tilo.
Finch? giovane e vigoroso
potr? reggere l'elmo in testa,
finch? avr? sangue nelle vene,
si dice che accetter? per contratto
regole e prepotenze del lanista,
senza che glielo imponga o glielo impedisca un tribuno.
E quanta gente vedi
che trova ragione di vita
soltanto nei piaceri del palato,
con creditori, accuratamente evitati,
in agguato alle porte del mercato.
E chi cena meglio e in modo pi? raffinato
? spesso il pi? spiantato,
sull'orlo di una rovina ormai evidente.
In pi? cerca fra tutti i cibi i pi? gustosi,
senza che il prezzo gli freni la voglia;
e se guardi con attenzione,
gli dan maggior piacere
proprio quelli che costano di pi?.
Trovar la somma da buttare
non ? difficile, se si impegnano le stoviglie
o si vende pezzo per pezzo
la statua della madre
per allestirsi in tegami di terracotta
una ghiottoneria da quattrocento argenti;
anche se di questo passo si arriva
alla sbobba dei gladiatori.
Ma bisogna distinguere
tra chi si prepara queste delizie:
in R?tilo ? un lusso eccessivo,
in Ventidio assume nome onorevole
e trae prestigio dal suo censo.
Posso cos? disprezzare chi sa
di quanto Atlante pi? si leva
sui monti di Libia, ma ignora
la differenza tra un forziere e un borsellino.
Viene dal cielo il detto 'Conosci te stesso'
che si dovrebbe incidere
e meditare in cuore,
quando ci si accinge a prendere moglie
o si intende far parte del sacro senato.
Tersite non pretese
la corazza di Achille,
nella quale faceva pena
persino Ulisse: se dunque intendi difendere
a tuo rischio e pericolo una causa ambigua,
interroga prima te stesso,
domandandoti chi tu sia,
se un oratore travolgente
o un millantatore come Curzio e Matone.
Bisogna conoscere i propri limiti
e tenerli presenti
sia nelle grandi che nelle piccole cose,
anche quando si acquista un pesce,
per non desiderare una triglia, se in tasca
hai solo quanto basta per un ghiozzo.
Che fine ti attende, se vien meno la borsa
e cresce l'appetito,
una volta scomparse nel tuo ventre,
capace di assorbire
rendite, argento massiccio, bestiame e terre,
l'eredit? e le sostanze paterne?
Di questi signori, svanito tutto quanto,
s'invola per ultimo anche l'anello,
e cos? Pollione mendica a mano nuda.
Pi? che fine precoce e rogo prematuro
questi scialacquatori devono temere,
peggiore della morte, la vecchiaia.
Queste di solito le tappe:
avuto a Roma in prestito denaro,
lo si dilapida sotto gli occhi dei creditori;
poi, quando ne resta solo un'inezia
e l'usuraio si fa verde,
si cambia aria e via
a mangiare le ostriche a Baia.
Fallire ormai non ? pi? una vergogna,
quasi si trattasse di traslocare
dall'afosa Suburra all'Esquilino.
L'unica pena e l'unica tristezza,
per chi fugge di casa,
? dover rinunciare per un anno intero
agli spettacoli del Circo.
Non una punta di rossore sulle guance:
remora di pochi ? il pudore,
che, oggetto di riso, se ne fugge da Roma.
Qui, Persico, potrai verificare
se le bellissime cose che dico
io poi le pratico davvero
nella vita, nei costumi e nei fatti,
se lodo i legumi e in segreto
mi d? alle gozzoviglie,
se al mio ragazzo in faccia a tutti
ordino polenta e in un orecchio focacce.
Visto che hai promesso di pranzare con me,
in me troverai un Evandro
giungendo come l'eroe di Tirinto
o come quell'ospite meno grande,
ma anch'egli di sangue divino,
entrambi assunti in cielo,
questo dall'acqua, l'altro dalle fiamme.
Eccoti il menu: niente ? del mercato.
Dai pascoli di Tivoli verr?
un capretto bello grasso, il pi? tenero
di tutto il gregge, ancora non avvezzo all'erba
e incapace di mordere i virgulti
curvi a terra di un salice,
con pi? latte che sangue in corpo;
poi asparagi di montagna
colti, deposto il fuso, da una contadina.
Non mancheranno grosse uova
ancora tiepide del loro fieno,
le galline che le hanno fatte,
e graspi d'uva conservati lungo l'anno
come pendevano dai tralci,
mele di Segni e Siria,
e, negli stessi cesti, mele
di profumo freschissimo,
da fare invidia a quelle del Piceno:
non temere, il freddo ha seccato
gli umori autunnali e non c'? pericolo
che aspro sia ancora il loro succo.
Questa era la cena sontuosa
dei nostri senatori.
Curio sul suo modesto focolare
poneva con le proprie mani
le erbette raccolte nell'orticello,
erbette che oggi farebbero schifo
anche al pi? miserabile dei zappatori
avvinto in duri ceppi,
memore del sapore
di una vulva di scrofa
assaggiata al caldo di un'osteria.
Un tempo usava conservare,
per i giorni di festa,
il lombo affumicato di un maiale
appeso ai buchi di un graticcio,
e servire ai parenti negli anniversari
un pezzo di lardo con carne fresca,
se a fornirla c'era una vittima.
Qualche parente poi,
che si fregiava di tre consolati,
del titolo di generale o dittatore,
si recava al convito pi? presto del solito
portando, gi? dal monte
che aveva dissodato,
la zappa sulla spalla.
Quando tremavano i romani
davanti ai Fabi, all'austero Catone,
agli Scauri e a Fabrizio,
quando persino il censore temeva
il severo rigore del collega,
nessuno ritenne mai importante
e serio sapere quale testuggine,
che nuota tra i flutti del mare,
avrebbe reso splendido e superbo
il letto dei discendenti di Troia;
i loro giacigli erano minuscoli,
disadorne le sponde,
e sulle testiere di bronzo
faceva capolino la testaccia
di un asinello incoronato,
sotto cui giocavano allegramente
i fanciulli dei campi.
E cos? come la casa e gli arredi
erano i cibi.
Il rude soldato di allora,
troppo sordo per apprezzare l'arte greca,
espugnata una citt?, riduceva in pezzi
le coppe dei grandi artisti, assegnate
come sua parte di bottino,
per farne ornamenti del suo cavallo
e cesellare l'elmo con l'immagine
della lupa di Romolo,
resa schiava del suo destino di comando,
o con quella dei due Quirini
sotto la rupe, per mostrare
al nemico in procinto di morire
l'immagine nuda del dio,
che con scudo e lancia fulmineo incombe.
In ciotole etrusche si scodellava
zuppa di farro, e tutto l'argento esistente
soltanto sulle armi brillava.
Se solo un po' sei invidioso,
tutto era tale allora
da suscitarti invidia.
E pi? presente era l'autorit? dei templi:
nel cuore della notte un tempo,
quando i Galli erano sbarcati sulla costa,
in piena Roma rison? una voce:
a compiere l'ufficio di profeti
erano i numi stessi.
Cos? ci avvis? Giove,
mostrando la sollecitudine
che nutriva per la sorte del Lazio,
quand'era raffigurato in argilla
e ancora non profanato dall'oro.
Nelle nostre case non si vedevano
che tavole fatte con alberi del luogo;
e il legno usato era in genere quello
di un vecchio noce abbattuto dal vento.
Ma per i ricchi d'oggi
non v'? piacere nel cenare,
nessun gusto in un rombo, nessuno in un daino,
e sembrano puzzare anche profumi e rose,
se a sostenere
le loro smisurate tavole
non ?, come piede enorme d'avorio,
uno stupendo leopardo
con le fauci spalancate e scolpito
in quelle zanne
che ci mandano la porta di Siene,
gli agili Mauri e gli Indi pi? scuri dei Mauri,
in quelle zanne che troppo pesanti
per il suo capo, l'elefante
depone nei boschi dei Nabatei.
Nasce di qui l'appetito, di qui
prende lo stomaco vigore:
per loro una base d'argento sotto il tavolo
? come un anello di ferro al dito.
Dio mi guardi da un commensale
che con superbia mi confronta a s?
e disprezza la povert?.
Certo, io non posseggo un'oncia d'avorio,
n? d'avorio son fatti i dadi e le pedine mie;
anzi sono d'osso persino
i manici dei miei coltelli;
ma non per questo diventano rancide
le mie vivande e la gallina
che taglio perde il suo sapore.
E non ho neppure uno scalco
da far invidia alla miglior cucina,
allievo di mastro Trifero,
alla cui scuola con ferri smussati
si tagliano grandi scrofe, lepri, cinghiali,
antilopi, uccelli di Scizia,
fenicotteri enormi e gazzelle getuliche
a non finire, mentre in tutta la Suburra
risuona questa cena in legno d'olmo.
Il mio scalco non sa trinciare
nemmeno un pezzo di capretto
o un'ala di gallina faraona:
principiante e rozzo com'? in ogni occasione,
conosce solo i segreti di piccoli bocconi.
Questo schiavetto trasandato,
ma ben riparato dal freddo,
ti porger? coppe comuni,
comprate per pochi denari.
Non ? frigio n? licio
[e non ? stato acquistato da un mercante di schiavi
a caro prezzo]: se vuoi chiedergli qualcosa,
fallo dunque in latino.
Tutti i miei servi hanno vestiti uguali,
capelli corti e dritti,
solo oggi pettinati per via del banchetto.
Questo ? figlio di un incolto pastore,
quello di un bifolco. Ha nostalgia della madre
che non vede da tempo,
e con tristezza rimpiange la sua capanna
e gli adorati suoi capretti;
ha l'aspetto e la dignit?
di un uomo libero, come essere dovrebbero
quelli che indossano indumenti
fiammeggianti di porpora;
non sbandiera, con voce chioccia,
i suoi testicoli imberbi nei bagni;
mai s'? fatto depilare le ascelle,
e non nasconde intimidito
dietro l'oliera il membro inturgidito.
Ti servir? un vino imbottigliato sui monti
dai quali viene e sulle cui pendici
giocava un tempo:
per vino e coppiere un'unica patria.
Forse ti aspetti che con armoniosa melodia
ti seducano canzoni di Gades
e che, incitate dagli applausi,
danzatrici si pieghino ancheggiando
sino a terra. [Anche le matrone,
accanto al marito sdraiato,
assistono a queste danze, che un uomo,
in loro presenza, avrebbe ritegno
di descrivere.] Tutto questo serve ai ricchi
per risvegliare, pungente come l'ortica,
la libidine assopita, [anche se il piacere
? pi? vivo nel sesso femminile,]
dove maggiormente si accende
ed eccitato dalla vista e dall'udito
ne provoca gli umori.
La mia modesta casa
non ospita simili passatempi.
Il crepitare delle nacchere,
quei discorsi dai quali si asterrebbe
in un sozzo bordello
persino una puttana nuda,
queste oscenit? e queste sfrenatezze erotiche
le ascolti e se le goda
chi lorda di vomito tavole di marmo:
alla ricchezza si concede venia.
Gioco d'azzardo ed adulterio
per gente da poco sono vergogna;
se li pratica un ricco,
lo si dice spiritoso e brillante.
Il mio banchetto offrir? altri diletti:
si reciter? l'Iliade di Omero
e il poema del sublime Virgilio,
che rendono incerto a chi assegnare la palma.
E poco importa di chi sia la voce
che legger? questi versi divini.
E ora bando agli affanni,
non pensare agli affari,
concediti il piacere di una sosta:
avrai tutta una giornata per te.
Nessuno parli di denaro,
e se tua moglie, uscita di primo mattino,
ritorna ogni tanto di notte a casa,
non ti rodere il fegato in silenzio,
anche se rientra con le vesti umide
e spiegazzate in maniera sospetta,
se ha i capelli in disordine,
il volto e le orecchie arrossate.
Deponi alla mia soglia ogni dolore,
dimentica la casa, i servi,
tutto ci? che ti rompono
o fanno scomparire,
ma soprattutto scorda i tuoi amici ingrati.
Intanto per onorare la dea dell'Ida
si d? inizio con lo stendardo
ai ludi Megalesi,
e il pretore, portato da cavalli,
siede come in trionfo;
se mi ? concesso dirlo,
con buona pace dell'immensa e troppa folla,
oggi il Circo contiene tutta Roma,
e dal frastuono che mi assorda
presumo che vincer? la squadra dei verdi.
Guai se perdesse: vedresti la citt? tutta
dolente e sbigottita,
come dopo la sconfitta dei consoli
nella gran polvere di Canne.
? uno spettacolo per giovani:
appartiene alla loro et?
il trambusto, la scommessa rischiosa,
l'insidiare qualche bella figliola.
Via la toga, le rughe della nostra pelle
si bevano invece il sole di primavera.
Ormai puoi recarti al bagno senza timore,
anche se manca un'ora esatta a mezzogiorno.
Ma per cinque giorni filati ? troppo:
anche una vita come questa
finirebbe per diventar noiosa.
Pi? raro ?, pi? si esalta il piacere.

Trad. database progettovidio
  giovenale satire traduzione
      Re: giovenale satire traduzione
 

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