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Mittente:
Bukowski
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Re: versioni(Seneca+Velleio)
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Data:
24/07/2002 0.33.34
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I brano: Velleio Patercolo, Storia romana, I, 13
Tre anni prima della distruzione di Cartagine [lett. che Cartagine venisse?], sotto il consolato di L. Censorino e M. Manilio, Marco Catone - ostinato [perpetuus] fautore del suo [di Cartagine] annientamento - mor?. Lo stesso anno in cui Cartagine fu distrutta, L. Mummio rase al suolo [eruit funditus (avv.)] Corinto, 952 anni dopo ch'essa era stata fondata da Alete, figlio di Ippolito. Ad entrambi i condottieri fu tributato il soprannome del popolo (che avevano) sconfitto, (e cos?) l'uno fu detto "l'Africano", l'altro "l'Acaico"; n? alcuno tra gli "homines novi", prima [prior] di Mummio, si era fregiato [vindicavit, lett. ovv. perfetto, si fregi?] di un soprannome acquisito [partum, da "pario"] in virt? del (proprio) valore. I (due) condottieri ebbero indoli diverse, e diversi interessi [studia] [la costruzione ? quella del dat. di possesso; fuere = fuerunt]: ad esempio, Scipione fu un cultore [auctor] ed un ammiratore tanto raffinato [elegans] degli studi liberali e di ogni (sfaccettatura del) sapere [omnisque doctrinae] da tenere (sempre) accanto a s?, e in pace e in guerra [domi militiaeque; idiomatico], Polibio e Panezio, (due) uomini di non comune intelletto. Nessuno, del resto, intervall? l' "otium" al "negotium" [lascio intradotti, per preservarne la peculiare pregnanza] o coltiv? sempre le arti della guerra e della pace in modo pi? raffinato [elegantius, comparativo avv.] che il suddetto [lett. hoc, questo] Scipione: sempre impegnato [versatus] a combattere [inter arma] o a studiare, tempr? sia il corpo nei pericoli, sia l'intelletto nelle elucubrazioni [disciplinis]. Mummio (invece) fu a tal punto poco raffinato [rudis] che - dopo aver espugnato Corinto, mentre organizzava il trasporto [cum? locaret portandas; la costruzione, volendo, ? idiomatica: ad. es. "statuam faciendam locare", far fare una statua] in Italia di quadri e statue, opere delle mani di sommi artefici - fece ingiunzione [iuberet praedici] agli appaltatori [conducentibus] che, qualora essi le [le opere] avessero smarrite (durante il viaggio), le avrebbero sostituite con delle nuove. Pur tuttavia, o Vinicio, non credo che tu dubiti del fatto che il rimanere ancora rozza la facolt? di comprendere [intellectum] quelle opere corinzie sarebbe stato un vantaggio maggiore per lo Stato (romano) che non l'esaltazione [intellegi in ea tantum] (che se ne fa oggi) e che quella [ovvero, degli anni in cui accaddero quei fatti] incompetenza [imprudentia] sarebbe stata pi? rispondente al pubblico decoro che (non) questa [cio?, coeva allo scrittore] competenza [prudentia] [la traduzione ? giocoforza un po' macchinosa, ma il senso ? chiaro: Velleio condanna la corrotta "raffinatezza" a lui contemporanea].
Trad. Bukowski
II brano: Seneca, Consolazione a Polibio, I
*** [lacuna: il soggetto ? mancante: possiamo genericamente dire: queste cose] (se le) metti a confronto con la nostra (vita? condizione?), risultano ben salde; (tuttavia,) risultano effimere [caduca], nel caso in cui [si] tu (le) riconduca al naturale "destino", che tutto annichila e che restituisce polvere alla polvere [lett. e che (tutto) riconduce/fa ritornare (revocantis) nel medesimo posto da cui (unde) l'ha dato alla luce (edidit)]. Infatti: (forse che) mani mortali hanno (mai) fatto qualcosa d'immortale [lett. che cosa d'immortale?]? Quelle famose [illa, "proprio quelle"] 7 meraviglie (del mondo), e quelle opere ancor pi? meravigliose, che l'ambizione degli anni successivi ha innalzato (al cielo), un giorno [aliquando] (ci si) mostreranno demolite al suolo [aequata solo]. Il fatto ? questo [ita est]: nulla dura in eterno, poche cose durano a lungo; la caducit? delle cose si riconduce a motivi contingenti [aliud alio modo fragile est], (insomma) le cause della fine delle cose sono contingenti; (ma) per il resto (una cosa ? certa): ogni cosa abbia un inizio, ha (anche) una fine. Alcuni minacciano la fine del mondo e che questo [credo sia "hoc" piuttosto che "huc", avv. moto a luogo; altrimenti, non avrebbe senso] universo, che abbraccia tutte le cose umane e divine, un giorno - se ritieni lecito crederlo - si disgregher? [lett. dies aliquis ? sogg.] e ricadr? nel caos e nelle tenebre primordiali. E ora vada qualcuno a compiangere [eat et comploret; si lega in questo modo l'endiadi, dando al II membro valore finale; comploro = piangere insieme su?] le singole vite [animas]; pianga sulle ceneri di Cartagine, Numanzia e Corinto, o di quant'altro [quid aliud] sia crollato in modo (ancor) pi? rovinoso [altius], mentre anche questo (universo), che non ha un luogo in cui [quo] cadere, (un giorno) dovr? finire; vada, quel qualcuno, a deplorare (questo) destino (infame), che un giorno oser? una tale nefandezza [cio? di distruggere l'universo], (destino) che non ha risparmiato neanche lui [sibi, cio?, il tipo che deplora]! Chi ? tanto superbo, anzi decisamente arrogante [impotentis adrogantiae], da pretendere [ut velit] di scamparsela [seponi] lui solo [unum] e i suoi (cari), in (questa ferrea) necessit? della natura - che destina ogni cosa alla medesima fine? (E da pretendere che) qualche casa si sottragga alla rovina che incombe [imminenti] (addirittura) sullo stesso universo? Cos?, ? di grande consolazione pensare di condividere, con tutte le cose, lo stesso triste destino, passato o futuro che sia [lett. che ? capitato a se stessi ci? che tutte le cose hanno in precedenza subito o che tutte le cose sono destinate a subire]. E, per questo motivo, mi sembra che la natura, quello che aveva fatto di pi? terribile [gravissimum], lo abbia reso comune (a tutti gli uomini), di modo che l'eguale condizione (dell'umanit?) alleviasse la crudelt? del fato [si direbbe: mal comune, mezzo gaudio ;)].
Trad. Bukowski
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• versioni(Seneca+Velleio) Re: versioni(Seneca+Velleio)
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