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Bukowski
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Re: versioni Valerio Massimo
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Data:
30/08/2002 21.03.15
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I brano: Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili, 9.11.ext.1 passim Scipione Africano patris et patrui memoriam gladiatorio munere Carthagine Nova celebrante,duo regis filii,nuper patre mortuo,in harenam processerunt pollicitique sunt ibi de regno proeliaturos(esse),quo spectaculum illudinlustrius pugna sua facerent.Cum Scipio eos monuisset ut verbis quam ferro diiudicare mallent uter regnare deberet,ac iam maior natu consilio eius obtemperaret,minor natu corporis viribus fisus in amentia perstitit initoque certamine propter pertinacioremimpietatem morte punitus est.Tum Scipio exclamavit se numquam dubitavisse quin verbum ferro praestaret.
Mentre Scipione l'Africano celebrava, a Cartagena [Carthagine Nova], il ricordo del padre e dello zio paterno [patrui, da "patruus"] (entrambi defunti) con l'allestimento di uno spettacolo di lotta tra gladiatori [tutto sta per "gladiatorio munere"], i due figli del re - essendo il (loro) padre morto da poco [nuper] - s'avanzarono nell'arena e giurarono che avrebbero l? combattuto [proeliaturos] per il regno, in modo da [quo] dare maggiore lustro, col loro combattimento, a quell'evento. Dopo che Scipione li ebbe ammoniti a decidere [lett. a voler decidere] con le parole, piuttosto che con le armi [ferro], chi dei due fosse (effettivamente) in grado [lett. deberet, dovesse] di regnare, mentre (il fratello) maggiore si mostrava gi? d'accordo a quella soluzione avanzata dall'Africano [lett. eius, di lui], il pi? piccolo - fidando nella propria prestanza fisica [fisus viribus corporis] - persever? nel folle proposito [in amentia] e, dato inizio al combattimento, scont? con la morte la (propria) ostinata empiet?. Al che, Scipione esclam? di non aver mai dubitato che (a conti fatti) le parole valessero (decisamente) pi? delle armi [ovvero, parafrasando, che un vero re si dimostra tale soprattutto per la sua capacit? di consiglio, e non solo per il suo valore in battaglia].
II brano: Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili, IV, 3.1 Quartum et vicesimum annum agens Scipio,cum in Hispania Carthagine Nova oppressa multos obsides,quos in ea urbe Poeni clausos habuerant,in suam potestatem redegisset,comperit inter eos eximiae formae virginem,illustri Celtiberorum loco natam,nobilissimo iuveni desponsam esse. Arcessitis parentibus et sponso inviolatum tradidit.Aurum quoque,quod pro redemptione puellae allatum erat,summae doti adiecit.Qua continentia ac munificientia iuvenis obligatus, Celtiberorum animos Romanis applicando gratiam rettulit.
(In effetti, se tu avessi cercato prima nel forum, avresti gi? trovato questa versione: comunque:) Dopo che Scipione - distrutta a 23 anni [lett. vivendo il 24esimo anno = a 23 anni compiuti] Cartagena [vd sopra] in Spagna - ebbe ricondotto sotto la propria tutela [potestatem] molti ostaggi che i Cartaginesi avevano tenuti chiusi in quella citt?, venne a sapere [comperit] che tra di essi c'era (anche) una fanciulla di straordinaria bellezza e di illustri natali celtiberi [ovvero, che apparteneva ad una nobile famiglia della Celtiberia], la quale era stata promessa in sposa ad un nobilissimo rampollo. Dato permesso a che i parenti e lo sposo (l? convenissero) riconsegn? (loro la fanciulla) sana e salva [suppongo inviolatam, e non "-um"]. (Per giunta) aggiunse alla dote anche l'oro ch'era stato versato per il riscatto della fanciulla. Il giovane (promesso sposo), obbligato da tale discrezione [continentia] e generosit?, ricambi? il favore [rettulit gratiam] favorendo le simpatie [lett. animos] dei Celtiberi nei confronti dei Romani [dat. vantaggio]
III brano: Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili, II, 1 passim Antiqui Romani tantum religionis sanguini et affinitati quantum ipsis dis immortalibus tribuebant. Nam quotiens inter virum et uxorem aliquod iurgium intercesserat,in sacellum deae Viriplacae,quod est in monte Palatino,veniebant et ibi invicem dicebant quae cupiebant :ita animorum contentionem deponebant et concordes domum redibant.Igitur dea,quia viros placabat,hoc nomen adsecuta erat.Convivium etiam sollemne maiores instituerunt idque Caristia appellaverunt,cui tantum cognati et affines intererant,ut,si qua inter necessarios querella orta esset,apud mensam et inter hilaritatem animorum tolleretur.
Gli antichi romani attribuivano pari sacralit? [tribuebant tantum religionis? quantum?] ai vincoli di sangue e coniugali quanto al culto degli stessi d?i immortali. Ad esempio [nam], ogni volta che s'era verificata [intercesserat] occasione di litigio [aliquid iurgum] tra un marito e una moglie, (entrambi) si recavano nel tempietto [sacellum] della dea Viriplaca [vd. il perch? di tale nome tra poco], che si trova sul monte Palatino, e l? si confessavano l'un l'altra ci? che l'un dall'altra e viceversa desideravano: in questo modo, si "sfogavano", facevano la pace [deponebant contentionem animorum] e se ne tornavano a casa d'amore e d'accordo [concordes]. E dunque, la dea aveva preso questo (suo) nome [Viriplaca], dall'essere in grado di restituire la concordia [lett. poich? placava] agli uomini. I (nostri) antenati istituirono anche un sacro banchetto - cui diedero il nome di "caristia" - cui potevano prender parte [lett. cui prendevano parte] soltanto congiunti ed affini, tal che - se nella parentela [inter necessarios] era sorta qualche acrimonia - venisse (l?) condonata [tolleretur], nell'euforia tipica dei commensali [apud mensam et inter hilaritatem animorum].
Tradd. Bukowski
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