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Bukowski
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Data:
10/09/2002 2.13.47




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Seneca, Lettere a Lucuilio, 41 [traduzione sotto il testo latino]
[1] Facis rem optimam et tibi salutarem si, ut scribis, perseveras ire ad bonam mentem, quam stultum est optare cum possis a te impetrare. Non sunt ad caelum elevandae manus nec exorandus aedituus ut nos ad aurem simulacri, quasi magis exaudiri possimus, admittat: prope est a te deus, tecum est, intus est. [2] Ita dico, Lucili: sacer intra nos spiritus sedet, malorum bonorumque nostrorum observator et custos; hic prout a nobis tractatus est, ita nos ipse tractat. Bonus vero vir sine deo nemo est: an potest aliquis supra fortunam nisi ab illo adiutus exsurgere? Ille dat consilia magnifica et erecta. In unoquoque virorum bonorum
[quis deus incertum est] habitat deus.
[3] Si tibi occurrerit vetustis arboribus et solitam altitudinem egressis frequens lucus et conspectum caeli <densitate> ramorum aliorum alios protegentium summovens, illa proceritas silvae et secretum loci et admiratio umbrae in aperto tam densae atque continuae fidem tibi numinis faciet. Si quis specus saxis penitus exesis montem suspenderit, non manu factus, sed naturalibus causis in tantam laxitatem excavatus, animum tuum quadam religionis suspicione percutiet. Magnorum fluminum capita veneramur; subita ex abdito vasti amnis eruptio aras habet; coluntur aquarum calentium fontes, et stagna quaedam vel opacitas vel immensa altitudo sacravit. [4] Si hominem videris interritum periculis, intactum cupiditatibus, inter adversa felicem, in mediis tempestatibus placidum, ex superiore loco homines videntem, ex aequo deos, non subibit te veneratio eius? non dices, 'ista res maior est altiorque quam ut credi similis huic in quo est corpusculo possit'? [5] Vis isto divina descendit; animum excellentem, moderatum, omnia tamquam minora transeuntem, quidquid timemus optamusque ridentem, caelestis potentia agitat. Non potest res tanta sine adminiculo numinis stare; itaque maiore sui parte illic est unde descendit. Quemadmodum radii solis contingunt quidem terram sed ibi sunt unde mittuntur, sic animus magnus ac sacer et in hoc demissus, ut propius [quidem] divina nossemus, conversatur quidem nobiscum sed haeret origini suae; illinc pendet, illuc spectat ac nititur, nostris tamquam melior interest. [6] Quis est ergo hic animus? qui nullo bono nisi suo nitet. Quid enim est stultius quam in homine aliena laudare? quid eo dementius qui ea miratur quae ad alium transferri protinus possunt? Non faciunt meliorem equum aurei freni. Aliter leo aurata iuba mittitur, dum contractatur et ad patientiam recipiendi ornamenti cogitur fatigatus, aliter incultus, integri spiritus: hic scilicet impetu acer, qualem illum natura esse voluit, speciosus ex horrido, cuius hic decor est, non sine timore aspici, praefertur illi languido et bratteato. [7] Nemo gloriari nisi suo debet. Vitem laudamus si fructu palmites onerat, si ipsa pondere [ad terram] eorum quae tulit adminicula deducit: num quis huic illam praeferret vitem cui aureae uvae, aurea folia dependent? Propria virtus est in vite fertilitas; in homine quoque id laudandum est quod ipsius est. Familiam formonsam habet et domum pulchram, multum serit, multum fenerat: nihil horum in ipso est sed circa ipsum. [8] Lauda in illo quod nec eripi potest nec dari, quod proprium hominis est. Quaeris quid sit? animus et ratio in animo perfecta. Rationale enim animal est homo; consummatur itaque bonum eius, si id implevit cui nascitur. Quid est autem quod ab illo ratio haec exigat? rem facillimam, secundum naturam suam vivere. Sed hanc difficilem facit communis insania: in vitia alter alterum trudimus. Quomodo autem revocari ad salutem possunt quos nemo retinet, populus impellit? Vale.

1 Fai proprio una cosa buona e a te salutare se, come scrivi, continui ad avanzare verso la saggezza: ? insensato chiederla a dio, visto che puoi ottenerla da te. Non occorre alzare le mani al cielo o scongiurare il sacrestano che ci lasci avvicinare alle orecchie della statua, quasi potessimo trovare pi? ascolto: dio ? vicino a te, ? con te, ? dentro di te. 2 Secondo me, Lucilio, c'? in noi uno spirito sacro, che osserva e sorveglia le nostre azioni, buone e cattive; a seconda di come noi lo trattiamo, lui stesso ci tratta. Nessun uomo ? virtuoso senza dio: oppure qualcuno pu? ergersi al di sopra della sorte senza il suo aiuto? Egli ci ispira principi nobili ed elevati. In ogni uomo virtuoso
abita un dio (quale non si sa).
3 Se ti troverai davanti a un bosco folto di alberi secolari, di altezza insolita, dove la densit? dei rami, che si coprono l'un l'altro, impedisce la vista del cielo, l'altezza di quella selva, la solitudine del luogo e lo stupore che desta un'ombra tanto densa e ininterrotta in uno spazio aperto, ti persuader? che l? c'? un dio. Se una grotta, creata non dalla mano dell'uomo, ma scavata in tanta ampiezza da fenomeni naturali, sostiene su rocce profondamente corrose un monte, un sentimento di religioso timore colpir? il tuo animo. Noi veneriamo le sorgenti dei grandi fiumi; vengono innalzati altari l? dove d'improvviso scaturisce dal sottosuolo una copiosa corrente; onoriamo le fonti di acque termali, e il colore opaco o la smisurata profondit? hanno reso sacri certi laghi. 4 Se vedrai un uomo impavido di fronte ai pericoli, libero da passioni, felice nelle avversit?, tranquillo in mezzo alle tempeste, che guarda gli altri uomini dall'alto e gli d?i alla pari, non ti pervader? un senso di rispetto per lui? Non dirai: "C'? un qualcosa di troppo grande ed eccelso perch? possa ritenersi simile al povero corpo in cui si trova"? 5 Una forza divina ? discesa in lui; una potenza celeste stimola questo spirito straordinario, moderato, che passa oltre ogni cosa considerandola di poco conto, che se la ride dei nostri timori e desideri. Non pu? un essere cos? grande restare saldo senza l'aiuto divino; perci? la parte maggiore di lui ? l? da dove ? disceso. Come i raggi del sole raggiungono la terra, ma non si staccano dal loro punto di partenza, cos? l'anima grande e santa, mandata quaggi? per farci conoscere meglio il divino, sta insieme a noi, ma rimane unita alla sua origine; dipende da essa, a essa guarda e aspira e sta in mezzo a noi come un essere superiore. 6 Qual ?, dunque, quest'anima? ? l'anima che brilla solo del suo bene. Cosa c'?, infatti, di pi? insensato che lodare in un uomo beni che non gli appartengono? Chi ? pi? pazzo di uno che apprezza beni che possono sempre passare a un altro? Le briglie d'oro non rendono migliore un cavallo. Un leone dalla criniera dorata, ammansito e costretto, ormai stanco, a sopportare le bardature, si slancia in maniera diversa dal leone selvaggio, nel suo pieno vigore: naturalmente quest'ultimo, violento nella sua furia, quale lo volle la natura, splendido per l'aspetto feroce, la cui bellezza consiste nell'essere guardato con terrore, ? preferito a quello fiacco e coperto d'oro. 7 Ognuno si deve gloriare solo di quello che gli appartiene. Lodiamo una vite se i tralci sono carichi di frutti, se la pianta sotto il loro peso abbatte i sostegni: forse qualcuno potrebbe preferire una vite cui fossero appesi grappoli e foglie d'oro? La virt? propria della vite ? la fertilit?; anche nell'uomo bisogna lodare quello che gli ? proprio. Ha begli schiavi, una magnifica casa, vasti terreni seminati, cospicui redditi da usura; nessuno di questi beni ? in lui, ma intorno a lui. 8 Nell'uomo devi lodare quello che non pu? essergli tolto o essergli dato, quello che gli ? proprio. Chiedi cos'?? L'anima e nell'anima una ragione perfetta. L'uomo ? un animale dotato di ragione: il suo bene lo attua appieno, se adempie al fine per cui ? nato. Che cosa esige da lui questa ragione? Una cosa facilissima: che viva secondo la natura che gli ? propria. Ma la follia comune la rende una cosa difficile: ci trasciniamo l'un l'altro nei vizi. E come si pu? ricondurre alla salvezza gente che nessuno trattiene e che ? spinta dalla massa? Stammi bene.

Trad. database progettovidio [di prossima pubblicazione]
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