Data:
08/12/2002 16.34.06
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Cicerone, Paradoxa Stoicorum, I, 5
Ebbene, costui sia (pure) acclamato come "imperator", come tale sia salutato o ritenuto altres? degno di un tal titolo! (Tuttavia) in che modo, ovvero, fino a che punto [tandem hic] un "imperator", che non riesce ad avere il comando sulle proprie passioni, impartir? ordini ad un uomo libero? (E allora) innanzitutto tenga a freno [qui di seguito, tutta una serie di congiuntivi esortativi] le (proprie) passioni, disprezzi i piaceri capricciosi, contenga l'iracondia, reprima l'avidit?, tenga lontano ogni altro difetto dell'anima: (insomma) cominci ad impartire ordini ad altri, solo qualora abbia cessato [desierit - desino] di obbedire a nefandissimi padroni [= le passioni, come specificato appena dopo], ovvero al vizio ed alla bruttura morale. Di contro, fin quando soggiacer? a questi (padroni), non solo non sar? degno d'esser considerato [habendus erit] un "imperator", ma neanche semplicemente un (uomo) libero. In conseguenza di ci?, ? stato affermato dai filosofi [ab eruditissimis viris] che, ad eccezione del sapiente, nessun (uomo) ? (da ritenersi veramente) libero. Che cos'?, infatti, la libert?? La possibilit? (effettiva) di vivere secondo la propria natura [lett. come tu voglia, ma in questi casi la II pers. si rende impersonale: come si voglia]. E chi, allora, vive secondo la propria natura se non colui che segue il giusto [recta, le cose?], trae diletto dal dovere morale; colui il cui genere di vita ? improntato a discrezione e saggezza; colui che, per giunta, non si sottomette alle leggi in virt? del timore, ma che (al contrario) le segue e le rispetta in sommo grado [colit] perch? giudica ci? essere innanzitutto cosa buona e giusta [salutare, lett. vantaggioso]; se non colui che infine nulla fa o dice se non in modo (per s?) piacevole e libero?
Trad. Bukowski
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