Data:
25/12/2002 22.16.32
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Cicerone, Tusculanae disputationes, V, XXI Infatti poich? un certo Damocle magnificava in una conversazione le sue (di Dionigi) ricchezze, i suoi mezzi, la maest? del suo dominio, l?abbondanza delle sue risorse, lo splendore delle stanze regali e affermava che non era mai esistito alcuno pi? felice, (Dionigi) disse: ?Vuoi dunque, Damocle, dato che ami questa vita, gustarla a fondo e sperimentare la mia condizione??. Avendo quello espresso di desiderarlo, Dionigi ordin? che fosse collocato su un letto dorato, coperto da uno stupendo lenzuolo, lavorato con magnifici ricami, e prepar? parecchi tavoli con oro ed argento cesellato. Allora ordin? che dei giovani scelti di ammirevole aspetto si trattenessero a tavola e, attenti alle sue richieste, lo servissero diligentemente. Vi erano profumi e ghirlande; si bruciavano essenze, le tavole erano imbandite con vivande raffinatissime. Damocle si riteneva fortunato. Nel bel mezzo di questo apparato (Dionigi) ordin? che una spada splendente fosse calata gi? dal soffitto a cassettoni, attaccata a un crine di cavallo, affinch? pendesse sopra il capo di quel beato. Dunque (Damocle) non volgeva lo sguardo n? a quei bei servitori, n? all'artistico argento, n? tendeva la mano al tavolo. Finalmente supplic? il tiranno di permettergi di andarsene, poich? non voleva pi? essere felice. Non sembra abbastanza chiaro che Dionigi abbia dimostrato che nulla di felice esiste per colui al quale sovrasta qualche terrore?
Ciao. Aiace Telamonio
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