Data:
08/02/2003 0.54.43
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Plinio il Vecchio, Storia Naturale, VII, 1
1 Principium iure tribuetur homini, cuius causa videtur cuncta alia genuisse natura, magna, saeva mercede contra tanta sua munera, non ut sit satis aestimare, parens melior homini an tristior noverca fuerit. 2 ante omnia unum animantium cunctorum alienis velat opibus. ceteris sua varie tegimenta tribuit, testas, cortices, coria, spinas, villos, saetas, pilos, plumam, pinnas, squamas, vellera; truncos etiam arboresque cortice, interdum gemino, a frigoribus et calore tutata est: hominem tantum nudum et in nuda humo natali die abicit ad vagitus statim et ploratum, nullumque tot animalium aliud ad lacrimas, et has protinus vitae principio; at Hercule risus praecox ille et celerrimus ante XL diem nulli datur. 3 ab hoc lucis rudimento quae ne feras quidem inter nos genitas vincula excipiunt et omnium membrorum nexus; itaque feliciter natus iacet manibus pedibusque devinctis, flens animal ceteris imperaturum, et a suppliciis vitam auspicatur unam tantum ob culpam, qua natum est. heu dementia ab his initiis existimantium ad superbiam se genitos! 4 prima roboris spes primumque temporis munus quadripedi similem facit. quando homini incessus! quando vox! quando firmum cibis os! quam diu palpitans vertex, summae inter cuncta animalia inbecillitatis indicium! iam morbi totque medicinae contra mala excogitatae, et hae quoque subinde novitatibus victae! et cetera sentire naturam suam, alia pernicitatem usurpare, alia praepetes volatus, alia nare: hominem nihil scire, nihil sine doctrina, non fari, non ingredi, non vesci, breviterque non aliud naturae sponte quam flere! itaque multi extitere qui non nasci optimum censerent aut quam ocissime aboleri. 5 uni animantium luctus est datus, uni luxuria et quidem innumerabilibus modis ac per singula membra, uni ambitio, uni avaritia, uni inmensa vivendi cupido, uni superstitio, uni sepulturae cura atque etiam post se de futuro. nulli vita fragilior, nulli rerum omnium libido maior, nulli pavor confusior, nulli rabies acrior. denique cetera animantia in suo genere probe degunt. congregari videmus et stare contra dissimilia: leonum feritas inter se non dimicat, serpentium morsus non petit serpentes, ne maris quidem belvae ac pisces nisi in diversa genera saeviunt. at Hercule homini plurima ex homine sunt mala.
Cominceremo a buon diritto dall?uomo, in funzione del quale sembra che la natura abbia generato tutto il resto. Ma essa ha preteso, in cambio di doni cos? grandi, un prezzo alto e crudele, fino al punto che non ? possibile dire con certezza se essa sia stata per l?uomo pi? una buona madre o una crudele matrigna. In primo luogo lo costringe, unico fra tutti gli esseri viventi, a procacciarsi all?esterno i suoi vestiti. Agli altri, in vario modo, la natura fornisce qualcosa che li copra: gusci, cortecce, pelli, spine, peli, setole, piume, penne, squame, velli; anche i tronchi degli alberi li protegge dal freddo e dal caldo, con uno e talora due strati di corteccia. Soltanto l?uomo essa getta nudo sulla nuda terra, il giorno della sua nascita, abbandonandolo fin dall?inizio ai vagiti e al pianto e, come nessun altro fra tanti esseri viventi, alle lacrime, subito, dal primo istante della propria vita: invece il riso, per Ercole, anche quando ? precoce, il pi? rapido possibile, non ? concesso ad alcuno prima del quarantesimo giorno. Subito dopo il suo ingresso alla luce, l?uomo ? stretto da ceppi e legami in tutte le membra, quali non si impongono neppure agli animali domestici. Cos? lui, che ha aperto gli occhi alla felicit?, giace a terra con mani e piedi legati, piangente ? lui, destinato a regnare su tutte le altre creature ? e inaugura la sua vita fra i tormenti, colpevole solo di esser nato. Che stoltezza quella di chi, dopo inizi siffatti, si ritiene destinato ad imprese superbe! Il primo barlume di vigore, il primo dono che il tempo gli concede lo rendono simile a un quadrupede. Quando comincia a camminare e a parlare come un uomo? Quando la sua bocca diventa adatta a prendere il cibo? Quanto a lungo resta molle la sua testa, segno della massima debolezza fra tutti gli esseri viventi! E poi le malattie, e le tante medicine escogitate contro i mali, ma anch?esse vinte ben presto da nuove sciagure! E ogni altro essere sente la propria natura: chi impara a correre velocemente, chi a volare con celerit?, chi a nuotare. L?uomo invece non sa far nulla, nulla che non gli sia insegnato: n? parlare, n? camminare, n? mangiare; insomma, per sua natura, non sa fare altro che piangere! Perci? molti hanno pensato che la cosa migliore fosse non nascere, oppure morire al pi? presto. Solo all?uomo, fra gli esseri viventi, ? stato dato il pianto; solo a lui il piacere, che si manifesta in infiniti modi e nelle forme proprie alle singole parti del corpo; solo a lui l?ambizione, l?avidit?, una smisurata voglia di vivere, la superstizione, la preoccupazione della sepoltura e anche di ci? che gli accadr? dopo la morte. Nessuno ha una vita pi? precaria, n? maggiore brama di ogni cosa; nessuno ? preda di angosce pi? disordinate, n? di un furore pi? violento. In conclusione, gli altri animali vivono bene tra i propri simili. Li vediamo aggregarsi ed opporre resistenza contro le specie diverse; ma i leoni non sono spinti dalla loro ferocia a combattere contro altri leoni, il morso dei serpenti non assale altri serpenti, e neppure i mostri marini e i pesci incrudeliscono, se non contro specie differenti. Invece, per Ercole, all?uomo la maggior parte dei mali ? causata da un altro uomo.
Fonte: http://www.alleanzacattolica.org/indi...
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