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Mittente:
bukowski
Re: Traduzione Didascalicon   stampa
Data:
04/03/2003 18.50.21




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L'essenza della filosofia come amore della Conoscenza [rendo con la lettera maiuscola, secondo l'accezione ovviamente tipica ad un mistico come Ugo di san Vittore; questa "filosofia" - che ritroviamo nel seguito del brano sotto le spoglie di "Theoria" (propriamente ricerca della Conoscenza, laddove questa conoscenza - la vera Conoscenza - non ? altro, per Ugo, che la conoscenza di Dio e in Dio) - ? una sorta di "teologia mondana", riflesso per quanto sbiadito, comunque imprescindibile, della "divina" Teologia].

Pitagora fu il primo ad intendere e definire la filosofia quale "amore del sapere", preferendo - per s? - l'appellativo di "filosofo", a quello di "sofo" - ovvero "sapiente" - usato in precedenza (per coloro che sono dediti all'attivit? speculativa) [uno dei meriti riconosciuti a Pitagora, anche dalla storiografia, ? quello - importante - di aver segnato per primo quella che oggi si direbbe la "differenza ontologica" tra l'ente e l'Essere: una consapevolezza di matrice metafisica ma dalla grossa portata etica che da allora divenne cifra dell'intera speculazione greca, giungendo al culmine del "nosce te ipsum" socratico; questo "nosce te ipsum" - che tra l'altro troviamo massima anche dei pitagorici, appunto - era la consapevolezza, non rassegnata, ma pugnace, dello "scarto" tra l'uomo (l'ente) e il Dio (l'Essere): solo il Dio ? Sapiente; l'uomo tutt'al pi? pu? essere "amante di (questa) Sapienza", ovvero vivere in una condizione di eterna "mancanza" (il mito di Abbondanza e Penuria, di memoria appunto socratico-platonica), che non ne mortifica l'esistenza, ma anzi la nobilita e le conferisce senso: "una vita senza ricerca non ? degna di essere vissuta", dunque: questa massima socratica ? l'alfa e l'omega d'un'esistenza veramente filosofica, in assoluto].
Attagliare a "coloro che cercano la Verit?" [inquisitores veritatis] l'appellativo di "filosofi", piuttosto che di "sapienti", ? cosa buona e giusta, dato che la Verit? - nella sua interezza e profondit? - sfugge certamente all'uomo [lett. si nasconde], al punto che - per quanto grande sia l'aspirazione e l'amore dell'intelletto [mens] nei confronti del Vero, per quanto esso s'impegni, con passione, nella ricerca di questo Vero - ? tuttavia difficile che l'intelletto stesso riesca a comprendere e "sopportare" questo stesso Vero.
Nell'intelletto, allora, la filosofia trova il suo luogo e il suo atto di fondazione: la filosofia, ovvero la disciplina che abbraccia quelle cose che "partecipano all'Essere immutabile del Vero". Cos'?, infatti, la filosofia se non amore, passione e, in un certo qual modo, "affinit?" [amicitia] alla sapienza? Una sapienza da non confondere, in realt?, con il "sapere pratico" e la "competenza" che si riscontra nelle attivit? umane [riassumo cos?: quae in ferramentis quibusdam, et in aliqua fabrili scientia notitiaque versatur, intesi come esempi "universali" di quella che Ugo, nel seguito del brano, chiamer? "arte meccanica", ovvero l'arte intesa alla ricerca delle cose utili al corpo: in tale accezione, dunque, sono da comprendersi tutte le attivit?, come dire, "manuali" ed "artigiane", ovvero "lavorative"; la qual cosa, ? - tra l'altro - segnale evidente della temperie in certo qual modo "medievale-cittadina" - quella che poi si dir? "borghese" - contemporanea alla speculazione dei "vittoriani"]; ma da intendersi, altres?, come quella Sapienza [con maiuscola, per accentuare la differenza] che ? paga di s? stessa [nullius indigens, non abbisogna di alcunch?], principio vivificatore e razionale dell'intero Creato [rerum].
E', dunque, la filosofia la Rivelazione [lett. illuminatio ab illa pura sapientia] offerta alla facolt? intellettiva, una sorta di "ansia" (del Vero) che ci attira a s?, e che crea un ponte tra l'umano e il divino [rendo cos?: ut videatur sapientiae studium divinitatis et purae mentis illius amicitia, preferendo una traduzione contenutistica, e - come dire - "ispirata", ad una semplice traslitterazione].
Questa Sapienza, dunque, offre all'anima umana il beneficio della propria divinit?, e la attrae alla propria Potenza e Purezza [tale sapienza, con maiuscola, dunque, altra non ? che Dio stesso]. Da essa traggono origine la verit? filosofica [ecco, appunto, segnati - insieme - l'affinit? e il discrimine tra la "Teologia divina" e la "teologia umana", veicolata, quest'ultima, dalla filosofia] e una vita condotta all'insegna della santit? e della purezza. Poich? all'anima umana ? offerto questo supremo bene della filosofia: l'ordito della vita deve tramarsi di virt?, come un discorso che si dipana seguendo il filo dell'argomentazione metodica e razionale.




Il fondamento della Theoria [intesa come ricerca della Conoscenza], della Pratica [intesa come ricerca della Virt?], dell'Arte Meccanica [intesa come ricerca del vantaggio materiale; vd. sopra].

L'ordito delle azioni e passioni umane, sotto la guida e il freno della Sapienza, deve puntare a ci?: ristabilire l'integrit? (divina ed originaria) [ma vd. oltre] del nostro essere, ovvero alleviare la caducit? ontologica [necessitas defectuum] che impregna la nostra vita mortale [lett. attuale]. Mi spiego. L'uomo ? lacerato tra Bene e male, natura e peccato [n.b.: questa "bipolarit?" dell'uomo ? una delle caratteristiche peculiari del misticismo vittoriano]
Poich? il Bene ? una disposizione naturale, ma altres? ? destinato (generalmente) a soccombere, esso dev'essere tenuto in forza dall'esercizio (spirituale). Di contro, poich? il peccato ? una degenerazione contro natura ed ? causa del soccombere, dev'essere estirpato. Certo, non ? possibile sradicarlo del tutto: tuttavia, dev'essere per lo meno temperato con pratica apposita. Questo ? l'onere cui ci si deve, assolutamente, sottoporre, per garantire l'integrit? naturale e dissuaderne l'elemento peccaminoso. Ora, l'integrit? dell'umana natura s'ottiene e s'educa in base a due elementi - la conoscenza e la virt? - elementi che rendono la nostra natura, ma solo sotto questo rispetto, simile a quella divina.
Infatti la natura dell'uomo (come detto) non ? "monadica" [simplex], ma contesta di due sostanze: una ch'? la migliore, e che anzi - per utilizzare termini davvero consoni - ? la sua vera natura, immortale. L'altra, invece, ? la parte caduca: gli empirici [qui nisi sensibus fidem praestare nesciunt] si limitano ad essa. Sotto questo rispetto, inerente alla parte caduca, l'uomo soggiace alla morte ed al mutamento, e solo la morte (appunto) pu? liberarcene. E', questa, la parte infima del Creato, sottoposta - com'? - alle leggi della nascita e della morte.




Il mondo sopralunare e sublunare.

Perci? gli astronomi [mathematici] hanno diviso l'universo in due parti: una che s'estende al di l? del circolo lunare, una al di qua. L'accezione di quella porzione dell'universo quale "superlunare" [o meglio, iper uranica] si legava alla perfezione dei suoi elementi, mentre l'accezione di questa - "sublunare", come a dire: opera di una natura superiore - si legava al fatto che tutti gli esseri viventi - ovvero dotati di uno spirito vitale insito - ricevono tale nutrimento vitale - necessario non solo alla nascita, ma anche al sostentamento - dagli elementi superni, attraverso modalit? e "canali" invisibili. Inoltre, gli astronomi conferivano all'iperuranio l'appellativo di "tempo eterno" [l'attributo ? d'obbligo, anche in riferimento a quanto affermato appena dopo], in virt? dei moti orbitali degli astri in esso situati [moti, appunto, che "dettavano" il tempo; come ricorderai, per Aristotele (ma gi? per Platone), il tempo era la "misura del movimento", e il movimento astrale era il moto per eccellenza, circolare e dunque perfetto (ritorna sempre su se stesso, ? "pago" di se stesso, com'? tipico di una natura divina], mentre al mondo sublunare conferivano l'appellativo di "temporale" [come dire: sottoposto al tempo], perch? in esso ogni cosa si attua in relazione ai moti degli elementi superiori [appunto! il moto tipico degli elementi inferiori ? quello rettilineo, imperfetto, secondo gli antichi, perch? "non si chiude su se stesso"]. Inoltre, davano l'appellativo di "Eliso" al mondo iperuranico, in virt? dell'eterna quiete e fulgore che lo caratterizza, mentre davano l'appellativo di "Infero" al mondo sublunare, in virt? della mutevolezza e della confusione che lo caratterizza.
Mi sono dilungato su quest'argomento per dimostrare come l'uomo - pur essendo, sotto il suo rispetto materiale, invischiato nella mutevolezza e soggiacente alle leggi della necessit? - pur tuttavia ? un essere vicino a Dio, sotto il rispetto della sua immortalit? (spirituale). Pertanto, si conferma quanto accennato: che l'agire umano ? "intenzionale" [ricorro al termine nella sua portata "fenomenologica" contemporanea] ad un duplice scopo: preservare e riscoprire la propria ascendenza divina, o quantomeno trovar consolazione all'angoscia [altro termine caro alla speculazione contemporanea] di questa vita, che quanto pi? ? esposta alle avversit?, tanto pi? manca d'un appoggio confortante e salvifico.

Trad. Bukowski

P.S.: Caro Paolo, per quanto riguarda la tua prolusione, ti contatter? via email appena avr? tempo. Saluti.
  Traduzione Didascalicon
      Re: Traduzione Didascalicon
 

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