Data:
01/04/2003 2.26.27
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Ammiano Marcellino, Storie, XXXI, 2 passim
1. Totius autem sementem exitii et cladum originem diversarum, quas Martius furor incendio solito miscendo cuncta concivit, hanc conperimus causam. Hunorum gens monumentis veteribus leviter nota ultra paludes Maeoticas glacialem oceanum accolens, omnem modum feritatis excedit. 2. ubi quoniam ab ipsis nascendi primitiis infantum ferro sulcantur altius genae, ut pilorum vigor tempestivus emergens conrugatis cicatricibus hebetetur, senescunt imberbes absque ulla venustate, spadonibus similes, conpactis omnes firmisque membris et opimis cervicibus, prodigiosae formae et pavendi, ut bipedes existimes bestias vel quales in conmarginandis pontibus effigiati stipites dolantur incompte. 3. in hominum autem figura licet insuavi ita visi sunt asperi, ut neque igni neque saporatis indigeant cibis sed radicibus herbarum agrestium et semicruda cuiusvis pecoris carne vescantur, quam inter femora sua equorumque terga subsertam fotu calefaciunt brevi. 4. aedificiis nullis umquam tecti sed haec velut ab usu communi discreta sepulcra declinant.
Il seme della generale ecatombe e l?origine delle diverse stragi, che la collera di Marte ha suscitato [concivit = concitavit], sconvolgendo [miscendo] ogni cosa col suo solito furore, li ho individuati [pl. maest?] in quanto segue. II popolo degli Unni, poco noto secondo le antiche testimonianze storiche - (popolo) che abita oltre le paludi Meotiche, lungo l'oceano glaciale - oltrepassa ogni limite di barbarie. Dato ch?essi hanno l'usanza di marchiare a fondo [sulcantur altius; come noti, la costr. ? al pass.], con un coltello, le guance dei neonati - di modo che il vigore della barba, quando spunta [emergens] in et? adatta [tempestivus], s?indebolisca per le rughe e le cicatrici (inferte) - essi invecchiano imberbi, senza alcuna bellezza e simili a eunuchi. Hanno, inoltre, membra robuste e salde, un collo taurino, e sono di corporatura deforme e spaventevole, tanto che li si potrebbe [existimes, tu generico; va in impersonale] considerare bestie bipedi o simili a quei tronchi malamente abbozzati sui parapetti dei ponti. Nonostante abbiano figura umana, per quanto mostruosa, appaiono talmente rozzi da non aver bisogno n? di fuoco n? di cibi conditi, ma si nutrono di radici di erbe selvatiche e di carne semicruda di qualsiasi bestia, che rendono tiepida tenendola stipata tra la sella e il dorso dei cavalli. (Infine) non hanno dimore, anzi generalmente le evitano come se fossero sepolcri.
Trad. Bukowski
Girolamo, Lettere, XXII, 30 passim
Cum ante annos plurimos domo, parentibus, sorore, cognatis et, quod his difficilius est, consuetudine lautioris cibi propter caelorum me regna castrassem et Hierosolymam militaturus pergerem, bybliotheca, quam mihi Romae summo studio ac labore confeceram, carere non poteram. Itaque miser ego lecturus Tullium ieiunabam. Post noctium crebras vigilias, post lacrimas, quas mihi praeteritorum recordatio peccatorum ex imis visceribus eruebat, Plautus sumebatur in manibus. Si quando in memet reversus prophetam legere coepissem, sermo horrebat incultus et, quia lumen caecis oculis non videbam, non oculorum putabam culpam esse, sed solis. Dum ita me antiquus serpens inluderet, in media ferme quadragesima medullis infusa febris corpus invasit exhaustum et sine ulla requie - quod dictu quoque incredibile sit - sic infelicia membra depasta est, ut ossibus vix haererem. Interim parabantur exsequiae et vitalis animae calor toto frigente iam corpore in solo tantum tepente pectusculo palpitabat, curo subito raptus in spiritu ad tribunal iudicis pertrahor, ubi tantum luminis et tantum erat ex circumstantium claritate fulgoris, ut proiectus in terram sursum aspicere non auderem. Interrogatus condicionem Christianum me esse respondi. Et ille, qui residebat: 'Mentiris', ait, 'Ciceronianus es, non Christianus; ubi thesaurus tuus, ibi et cor tuum'.
Molti e molti anni fa, con un taglio netto, mi sbarazzai della casa, dei miei genitori, della sorella, dei parenti, e ? cosa pi? difficile ancora - dell'abitudine a una mensa piuttosto raffinata, per il regno dei cieli, e puntai su Gerusalemme, per abbracciare la milizia di Cristo. Tuttavia, non sapevo rinunciare alla biblioteca, che mi ero allestita a Roma, con tanta dovizia di zelo e fatica. E cos?, dominato dalla mia stoltezza, prima digiunavo e poi leggevo Cicerone. Dopo molte notti trascorse nelle sacre veglie, dopo tante lacrime, che il ricordo delle colpe passate mi faceva sgorgare dalle profondit? dell'essere, prendevo in mano Plauto. Se talvolta, rientrando in me stesso, mi applicavo alla lettura dei Profeti, il loro stile grossolano mi dava un senso di fastidio, e siccome per la mia cecit? non ero in grado di vedere la luce, ne attribuivo la colpa non agli occhi ma al sole. ? cos? che l'antico serpente si faceva beffe di me. Verso la met? della Quaresima, una febbre acuta, penetratami fin nel midollo delle ossa, invase il mio corpo gi? esausto, e, senza darmi un attimo di tregua - cosa davvero incredibile a dirsi - mi divor? a tal punto le misere membra, da lasciarmi soltanto le ossa malamente congiunte. Frattanto mi si preparavano i funerali; il mio corpo era gi? tutto freddo e soltanto nel cuore, tiepido appena, indugiavano i palpiti estremi del calore vitale, quand'ecco, all'improvviso, fui rapito in ispirito e trascinato davanti al tribunale del Giudice: ivi, cos? intensa era la luce e cos? vivo lo splendore irradiante dalla cerchia dei presenti che, gettatomi a terra, non ardivo sollevare lo sguardo. Interrogato sulle mie generalit?, risposi di essere cristiano. Ma colui che stava sul seggio ribatt?: ?Tu menti; tu sei ciceroniano, non cristiano. "Dov'? il tuo tesoro, ivi c'? pure il tuo cuore"?.
Trad. E. Camisani
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