Data:
23/05/2003 18.13.14
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Frontone, De orationibus, V passim
? Confusam eam ego eloquentiam, catachannae ritu partirn pineis nucibus Catonis partim Senecae mollibus et febriculosis prunulis insitam, subvertendam censeo radicitus, immo vero, Plautino ut utar verbo, exradicitus. Neque ignoro copiosum sententiis et redundantem hominem esse: verum sententias eius ... video ..., ut Laberius dictabolaria immo dicteria, potius eum quam dieta confingere. Itane existimas graviores sententias et eadem de re apud Annaeum istum reperturum te quam apud Sergium? Sed non modulatas aeque: ratear; neque ita cordaces: ita est; neque ita tinnulas: non nego. Quid vero, si prandium utrique adponatur, adpositas oleas alter digitis prendat, ad os adferat, ut manducandi ius fasque est ita dentibus subiciat, alter autem oleas suas in altum iaciat, ore aperto excipiat, ut calculos praestigiator, primoribus labris ostendet? Ea re profecto pueri laudent, convivae delectentur; sed alter pudice pranderit, alter labellis gesticulatus erit. At enim sunt quaedam in libris eius scite dieta, graviter quoque nonnulla. Etiam laminae interdum argentiolae cloacis inveniuntur; eane re cloacas purgandas redimemus? Prirnum illud in isto genere dicendi vitium turpissirnum, quod eandem sententiam milliens alio atque alio amictu indutam referunt. Ut histriones, quom palliolatirn saltant, caudam cycni, capillum Veneris, Furiae flagellum, eodem pallio demonstrant: ita isti unam eandemque sententiam multirnodis faciunt, ventilant, commutant, convertunt ...
Quell'eloquenza confusa in guisa d'un albero dai molti innesti, che produce in una parte le noci legnose di Catone, in un'altra le molli e febbricose prugne di Seneca, ritengo debba essere stroncata in radice; anzi meglio, colla parola irata del personaggio plautino, ?fuor dalle radici?. E non ignoro ch 'egli ? uomo di ridondante traboccante eloquenza. Ma vedo che quelle sue sentenze, secondo il detto di Laberio, non sono che ?motti lanciati a caso?, anzi argutezze, ch'esprimono piuttosto lui che le cose ch'egli vuol dire. Stimi tu forse che sentenze pi? gravi - e proprio sugli stessi argomenti - si ritroverebbero in codesto Anneo che in Sergio Plauto filosofo? ?Ma non modulate egualmente?; lo ammetto, ?ma non cos? vivaci?, ? vero; ?n? cos? sonore?; non lo nego. Ma supponi un po' che a due persone s'imbandisse lo stesso pranzo; e uno prendesse le olive con le dita, le portasse alla bocca - ch'? il modo legittimo e consacrato di mangiare - e se le mettesse sotto i denti; l'altro invece lanciasse in alto le sue olive, le aspettasse a bocca aperta e presele in bocca, le mostrasse a fior di labbra, come fa un prestigiatore coi sassolini. I fanciulli per certo ne godrebbero, i convitati ne avrebbero diletto; ma il primo avr? pranzato con decoro, l'altro avr? fatto una pantomima coi labbruzzi. Eppure ci sono nei suoi libri cose dette con finezza, talvolta anche con vigore. Anche nelle cloache si trovano talvolta lamine d'argento; compreremo adunque una cloaca per purgarla? Il maggior vizio e il pi? brutto, in codesto genere d'eloquenza, si ? che ripetono la stessa frase mille volte, ora vestita in un modo, ora in un altro. Come gl'istrioni, quando giocano col copricapo, ora lo atteggiano a coda di cigno, ora a chioma di Venere, ora a flagello delle Furie, cos? codesti oratori di una stessa frase ne fanno molte che sembran diverse; l'agitano, la modificano, la trasformano.
Trad. A. Zanon
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