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Mittente:
bukowski
Re: Seneca   stampa
Data:
26/06/2003 18.55.04




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Ti posto i brani come ce li ho io, e le relative traduzioni.

Seneca, La tranquillit? dell?animo, XVII passim

8 Indulgendum est animo dandumque subinde otium, quod alimenti ac uirium loco sit.
Et in ambulationibus apertis uagandum, ut caelo libero et multo spiritu augeat attollatque se animus; aliquando uectatio iterque et mutata regio uigorem dabunt, conuictusque et liberalior potio. Nonnumquam et usque ad ebrietatem ueniendum, non ut mergat nos, sed ut deprimat: eluit enim curas et ab imo animum mouet et, ut morbis quibusdam, ita tristitiae medetur, Liberque non ob licentiam linguae dictus est inuentor uini, sed quia liberat seruitio curarum animum et asserit uegetatque et audaciorem in omnes conatus facit. 9 Sed, ut libertatis, ita uini salubris moderatio est. Solonem Arcesilanque indulsisse uino eredunt; Catoni ebrietas obiecta est: facilius efficient crimen honestum quam turpem Catonem. Sed nec saepe faciendum est, ne animus malam consuetudinem ducat, et aliquando tamen in exsultationem libertatemque extrahendus tristisque sobrietas remouenda paulisper.

8. Bisogna essere indulgenti con l'animo e concedergli ripetutamente il riposo che funga da alimento e forze. Bisogna fare anche passeggiate all'aperto, affinch? l'animo si arricchisca e si innalzi grazie all'apertura degli orizzonti e all'abbondanza di aria pura da inspirare; talvolta un viaggio o un cammino e il cambiare luoghi e le cene e le bevute pi? generose daranno energia. Talvolta ? opportuno arrivare anche fino all'ebbrezza, non perch? ci sommerga, ma perch? abbia effetto tranquillante; infatti dissolve gli affanni e muove l'animo dal profondo e come cura alcune malattie cos? anche la tristezza, e Libero non ? detto cos? per la libert? di parola ma perch? libera l'animo dalla schiavit? delle preoccupazioni e gli d? indipendenza e forza e lo rende pi? audace verso ogni impresa. 9. Ma nella libert? come nel vino ? salutare la moderazione. Si crede che Solone e Arcesilao abbiano accondisceso al vino, a Catone fu rinfacciata l'ebbrezza: chiunque gliela rinfacci, potr? rendere pi? facilmente onesto un vizio che turpe Catone. Ma non bisogna farlo nemmeno spesso, in modo che l'animo non prenda una cattiva abitudine, e tuttavia talvolta occorre spingerlo all'esultanza e alla libert?, e la triste sobriet? va per un po' abbandonata.


Seneca, La tranquillit? dell?animo, IV-V passim

Numquam enim usque eo interclusa sunt omnia, ut nulli actioni locus honestae sit.
V. 1 Numquid potes inuenire urbem miseriorem quam Atheniensium fuit, cum illam triginta tyranni diuellerent? Mille trecentos ciues, optimum quemque, occiderant, nec finem ideo faciebant, sed irritabat se ipsa saeuitia. In qua ciuitate erat Areos pagos, religiosissimum iudicium, in qua senatus populusque senatui similis, coibat cotidie carnificum triste collegium et infelix curia tyrannis augusta. Poteratne illa ciuitas conquiescere, in qua tot tyranni erant quot satellites essent? Ne spes quidem ulla recipiendae libertatis animis poterat offerri, nec ulli remedio locus apparebat contra tantam uim malorum: unde enim miserae ciuitati tot Harmodios? 2 Socrates tamen in medio erat, et lugentes patres consolabatur, et desperantes de re publica exhortabatur, et diuitibus opes suas metuentibus exprobrabat seram periculosae auaritiae paenitentiam, et imitari uolentibus magnum circumferebat exemplar, cum inter triginta dominos liber incederet. 3 Hunc tamen Athenae ipsae in carcere occiderunt, et qui tuto insultauerat agmini tyrannorum, eius libertatem libertas non tulit: ut scias et in afflicta re publica esse occasionem sapienti uiro ad se proferendum, et in florenti ae beata petulantium, inuidiam, mille alia inertia uitia regnare.

IV Mai infatti sono a tal segno impedite tutte le possibilit? che non ci sia spazio per alcuna azione onesta.
V. 1. Puoi forse trovare una citt? pi? infelice di quanto lo fu quella degli Ateniesi, quando la dilaniavano i trenta tiranni? Avevano ucciso milletrecento cittadini, tutti i migliori, e non per questo si fermavano, ma era la stessa crudelt? che si fomentava da sola. Nella citt? in cui si trovava l'Areopago il pi? sacro dei tribunali, nella quale si trovavano un senato e un popolo simile al senato, si raccoglieva ogni giorno un tristo collegio di carnefici e la curia infelice si faceva stretta per i tiranni che la affollavano: avrebbe forse potuto vivere in tranquillit? quella citt? in cui c'erano tanti tiranni quanti avrebbero potuto essere gli sgherri? Non si poteva presentare agli animi nemmeno un barlume di speranza di riacquistare la libert?, n? si profilava spazio ad alcun rimedio contro tanta violenza di mali; da dove infatti recuperare tanti Armodii per la povera citt?? 2. Eppure c'era Socrate e consolava i senatori affranti, esortava quanti disperavano della repubblica, ai ricchi che temevano a causa delle loro ricchezze rimproverava il tardivo pentimento di una cupidigia foriera di pericolo e a quanti erano desiderosi di imitarlo andava portando un grande esempio, col suo incedere libero fra i trenta dominatori. 3.Tuttavia quest'uomo la stessa Atene lo uccise in carcere, e la Libert? non toller? la libert? di colui che aveva sfidato la schiera compatta dei tiranni: sappi pure che anche in uno stato oppresso c'? la possibilit? per un uomo saggio di manifestarsi, e in uno fiorente e felice regnano la sfrontatezza l'invidia e mille altri vizi che rendono inerti.

Fonte: http://www.filosofia.3000.it/
  Seneca
      Re: Seneca
 

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